Gianluca Pardini e la sua Italian Cuisine: educare alla cucina, tra tradizione e innovazione

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Gianluca Pardini e la sua Italian Cuisine: educare alla cucina, tra tradizione e innovazione

Gianluca Pardini e la sua Italian Cuisine: educare alla cucina, tra tradizione e innovazione

Genuino, competente, perspicace e sempre alla ricerca di qualcosa che lo migliori: lo chef Gianluca Pardini è uno dei volti di eccellenza del mondo culinario lucchese, seppur più di venti anni fa abbia deciso di chiudere l’attività ristorativa per concentrarsi a tempo pieno sulla sua scuola di cucina, Italian Cuisine, che da un anno a questa parte si trova nella splendida location del Convictus in Via della Zecca.

Il rapporto con la cucina dello chef toscano viene da molto lontano e nasce quando Gianluca ha appena 14 anni: “è stata quasi una coincidenza – ci racconta lo chef – i miei genitori volevano che facessi qualcosa l’estate e mi presentarono ad un ristorante vicino casa. Mi trovai molto bene, tant’è che poi con lo chef siamo rimasti molto legati e di lì è partito tutto”.

E pensare che per un certo periodo della sua vita Pardini ha pensato di fare tutt’altro: diplomato presso l’istituto d’arte con abilitazione all’insegnamento di disegno e storia dell’arte il giovane nativo di San Giuliano Terme ha per diversi anni tentato di trovare lavoro come professore, seppur continuando a progredire nell’esperienza in cucina.
Proprio una di queste esperienze è quella che più lo ha formato a livello lavorativo: “l’Excelsior di Firenze è il posto che più mi ha fatto capire cosa volesse dire stare in una cucina professionale: il lavoro di brigata, la piramide gerarchica del lavoro mi aiutarono a capire che quello era il mio posto”.

Il lavoro in cucina dà la possibilità allo chef di poter viaggiare molto: dopo tre anni di lavoro a Firenze Pardini, a soli 22 anni, ottiene un posto come capo chef nel primo ristorante italiano a Orleans, cittadina francese sulle rive della Loira. Di lì poi il successivo sbarco a Parigi e poi il trasferimento in Giappone, dove rimane per ben quattro anni. Un giramondo che presto o tardi ha comunque sentito il richiamo irresistibile delle terre che lo avevano cresciuto: nel 1984 lo chef torna in Italia assumendo il ruolo di direttore del ristorante “Il Barbero” a Siena; successivamente diventa proprietario e chef dello storico locale lucchese “Mecenate”, locale di cui mantiene la proprietà fino al 1996. Nel frattempo la sua vocazione per l’insegnamento torna fuori: è così che inizia a collaborare con l’accademia Bunryu di Siena, scuola dedicata solo a giapponesi di cui diventa direttore didattico e chef coordinatore una volta ceduta l’attività ristorativa; lo chef decide di aprire la scuola anche ai non giapponesi e la sposta a Lucca nel 2004 dandogli il nome che ha oggi: Italian Cuisine.

In un mondo dove la cucina e gli chef sono diventati in breve tempo delle vere e autentiche star, stupiscono la semplicità e l’autenticità di Pardini. Eppure lo chef lucchese ha un bagaglio d’esperienza notevole, acquisito a seguito di sacrifici, successi e perché no anche sbagli. Il tutto ambientato nell’unico luogo in cui uno chef dovrebbe stare: la cucina. Un posto che oggi sembra passare quasi in secondo piano, a fronte della presenza fissa degli chef in programmi, serie tv e video sui social che hanno trasformato questo settore nell’ennesimo business della società occidentale: ecco allora che “per poter andare avanti – sottolinea Pardini – c’è bisogno di fare qualche passo indietro per avere delle basi solide con cui affrontare la sfide degli anni a venire”. Contaminare la propria cucina va bene, traendo beneficio dalla parte salutare della globalizzazione, ovvero lo scambio sano di culture, l’apprendimento delle tecniche di ciascun paese che si visita. Quello che un bravo chef deve ricordarsi però è sempre da dove viene: le tradizioni di uno specifico luogo sono quelle che definiscono chi quel territorio lo abita e il lavoro in cucina non può prescindere da questo punto: “Un piatto stellato si può cucinare a Lucca come a New York o Tokyo senza nessun problema. Un piatto di trippa o una zuppa lucchese si può fare solo qui”.

Non ci stupisce allora che quando chiediamo allo chef a quale piatto sia più legato la sua risposta verta su due piatti della tradizione e della convivialità toscana: la lasagna e il tordello. Qua torna fuori il concetto più volte ribadito dallo chef sull’importanza del contatto con il proprio territorio: in un’epoca dove da più parti sono evocati concetti come quello della rivisitazione dei piatti chef Pardini ci dice che “ l’identità dei piatti tradizionali va mantenuta: la presentazione può essere più moderna, ci si può far ispirare da questi piatti per creare piatti diversi”. Il concetto portato avanti dallo chef è semplice: le nuove tecniche in cucina vanno esplorate senza esasperarle altrimenti si finisce a creare dei piatti che hanno tutto meno che l’anima.

Foto di Elettra Dini

Il lavoro in cucina non è semplice: turni lunghi e stressanti, la fatica può essere affrontata solo se chi lavora assieme sviluppa un’armonia costante con i propri colleghi. Il rapporto tra uno chef e un suo sottoposto diventa fondamentale, soprattutto nelle brigate numerose. Pardini ci tiene a sottolineare le differenze fra un cuoco e uno chef: ”Un bravo cuoco deve avere una buona manualità che si acquisisce con l’esperienza, un bravo chef deve essere in grado guidare una cucina, imparando anche a gestire il capitale umano all’interno di essa: ad esempio saper valorizzare un giovane che poi lo ripagherà con la gratitudine e il suo lavoro”.

Per lo chef nella maggior parte dei casi quello che manca a chi si approccia alla cucina oggi è lo spirito di sacrificio: “Oggi si vuole tutto e subito: quello che invece consiglio ai miei studenti è lo studio, l’approfondimento, la pazienza, elementi fondamentali per crescere e formarsi”.

La gavetta chef Pardini invece l’ha fatta eccome, attraversando decenni in cui la cucina in Italia da mestiere snobbato è passata ad avere un’esposizione mediatica fortissima.: “oggi – conclude lo chef con un sorriso sarcastico – le ricette le danno anche i preti all’altare. Ma la differenza fra un brutto e un buon piatto la fa l’anima e quella è l’unica cosa che non riusciranno mai a togliermi”.

Anima, rapporto viscerale con la terra, un tocco di sale o di pepe al momento giusto, l’importanza di cucinare con tutto l’amore che si ha dentro. Pardini educa alla cucina, prima ancora di insegnare le tecniche giuste: in un’epoca come la nostra non si può che essergliene grati.