Dettagli, bizzarrie e grottesco: la relazione tra parola e immagini nei disegni di Martino Santori

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Dettagli, bizzarrie e grottesco: la relazione tra parola e immagini nei disegni di Martino Santori

Dettagli, bizzarrie e grottesco: la relazione tra parola e immagini nei disegni di Martino Santori

Oggi abbiamo fatto una interessante chiacchierata con Martino Santori, giovane e promettente fumettista lucchese che attualmente vive e studia a Milano, che ci ha spiegato qual è il suo progetto artistico e cosa sta sperimentando in questo periodo. Martino ci ha poi raccontato com’è nata la sua passione e qual è la sua idea di arte, sottolineando un aspetto fondamentale e assolutamente non banale: si può anche fare cultura senza tralasciare l’aspetto ludico della pratica artistica!

 


 

-Martino, cosa stai facendo nella vita?

Per adesso sono uno studente del biennio di Grafica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, e sto conducendo una ricerca che parte dal disegno in relazione con la parola, ma che negli ultimi tempi si è ampliata verso media diversi, per cercare, attraverso sperimentazioni, una mia strada nel mondo delle arti visive.

-Come e quando è nata la tua passione?

Sono sempre stato attento ai piccoli dettagli, alle bizzarrie, al grottesco, e fin da bambino riportavo queste mie impressioni attraverso il disegno, che è sempre stata una pratica costante. Questa mia vocazione al disegno mi ha portato in fretta verso il fumetto, che di fatto mi ha aperto al connubio tra parola e immagine, che non ho praticamente più abbandonato. A questo va aggiunto anche un precoce amore per la storia dell’arte, passatomi dai miei genitori, che mi hanno avvicinato alla materia con entusiasmo.

-Quando ti sei accorto di voler fare questo nella vita?

Nel 2017, quando ancora frequentavo il triennio, ho fondato un collettivo di autoproduzione e fumetto, La Fabbrica d’Inchiostro, insieme al mio amico di una vita Andrea Bernardini, e da quel momento la pratica artistica ha avuto sempre più preponderanza rispetto all’ambito più teorico che stavo studiando. In seguito al conseguimento della laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali, ho deciso perciò di dedicarmi ad una strada che mi aiutasse ad approfondire questo approccio verso la pratica artistica che avevo cominciato a sviluppare. Quindi ho interrotto i miei studi presso la facoltà di Arti Visive presso l’Università di Bologna, provando il test d’ammissione per l’Accademia di Brera.

-Che percorso di studi hai fatto e dove vivi attualmente?

Dopo il liceo linguistico a Lucca, ho conseguito la laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Pisa. Come detto, attualmente studio all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, città in cui vivo, o meglio, vivrei, vista la situazione infelice che mi ha costretto a Lucca in questi ultimi mesi. È una città che a causa della pandemia non ho avuto ancora possibilità di apprezzare a fondo, ma conto di farlo nei mesi che verranno, perché il poco tempo passato lì mi ha dato davvero molti spunti e portato a conoscere persone molto interessanti.

-Chi sono i tuoi miti e a chi ti ispiri?

Uno dei miei primi miti è stato sicuramente Hugo Pratt, che è riuscito a trasmettermi, attraverso il mondo del fumetto, una poesia fatta di parole, ma anche di silenzi, quasi cinematografica. Anche la scuola metafisica, con artisti come De Chirico o Carrà, o architetti come Aldo Rossi, hanno contributo molto alla formazione del mio immaginario. Ho poi tratto molta ispirazione sia da gran parte dell’arte italiana contemporanea, dagli anni ’60 con Piero Manzoni, ai ’70 con Alighiero Boetti, fino alla Transavanguardia con Mimmo Paladino, sia da quella inglese, da Hamilton a Hockney, fino all’ultra contemporaneo David Shrigley, passando per i Monty Phyton e gli Young British Artists. Quello che molti artisti contemporanei mi hanno insegnato è un approccio metodologico che sia in primo luogo gioco, satira, divertimento, che si può fare cultura senza tralasciare l’aspetto ludico della pratica artistica stessa.

-Che cosa vuoi fare da grande e qual è il tuo sogno?

Non posso dire di avere un sogno preciso, ma quello che voglio fare è trovare una strada che mi permetta di continuare incessantemente la mia ricerca, di perfezionarla e consolidarla, di conoscere per lavorare e lavorare per conoscere, e portare il mio occhio verso ambiti e luoghi diversi, per poter raccontare storie che partano da me, ma che riescano a raccontare della varietà che abbiamo di fronte.

-Secondo te, a Lucca, è possibile fare quello che fai? Hai provato a fare mostre o ad avere qualche spazio in città?

Lucca ha potenzialità enormi e pochissime possibilità, al momento attuale. Sono molti gli spazi che potrebbero essere sfruttati in modo da creare realtà culturali interessanti, è sicuramente molto complesso, ma sto cercando negli ultimi tempi di informarmi in maniera più concreta rispetto a quanto io abbia fatto prima. Con La Fabbrica d’Inchiostro, abbiamo partecipato per tre edizioni di Borda!Fest, meravigliosa realtà di autoproduzione, e abbiamo avuto la fortuna di organizzare due mostre, una personale nel 2018 grazie a Spazio Lum, allo Spazio San Donnino, e una collettiva nel 2019 grazie a Kairos, nei sotterranei di Villa Bottini.

-Pensi che tornerai a vivere nella nostra città?

È difficile riuscire a chiamare “casa” un luogo, e Lucca e tutto il suo territorio, sicuramente, è uno di questi. Per il momento sento necessità di aprirmi ad esperienze di più ampio respiro, di riuscire a chiamare casa anche altri luoghi, di sentirmi familiare a più realtà. Non posso fare previsioni troppo a lungo termine, ma è difficile abbandonare luoghi che ti trasmettono molto.