Diego Scarpellini: l’arte del riuso come pratica ecologica ed esercizio interiore

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Diego Scarpellini: l’arte del riuso come pratica ecologica ed esercizio interiore

Diego Scarpellini: l’arte del riuso come pratica ecologica ed esercizio interiore

Diego Scarpellini è un artista che utilizza per costruire le sue opere esclusivamente materiale di recupero. Entrare nel suo laboratorio all’interno della sua casa a Vorno, vuol dire entrare in una sorta di mondo parallelo: un mondo dove quasi per magia bulloni, chiodi, viti e altri oggetti di metallo o legno che sarebbero finiti in qualche angolo dimenticato di una discarica, assumono un profondo significato e una propria anima. Il merito è dell’artista e artigiano che li assembla per farli diventare oggetti da collezione: così una vecchia moca da caffè può diventare l’alfiere di una scacchiera, oppure un pezzo di metallo o di legno può trasformarsi in un uccello, in una medusa o ancora in una ballerina che compie un passo di danza classica.

Proprio la magia e la creatività sono temi molto cari all’artista lucchese e il caposaldo del suo processo artistico: «la creatività è la base – ci confessa Diego- e non è per tutti: non voglio dare definizioni assolute ma solo un certo tipo di indole è creativa: per questo molte volte è difficile autodefinirsi artisti; c’è sempre la consapevolezza che il percorso per diventare artisti è difficile e pieno di disagi interiori ma quando si riesce ad esprimere se stessi e far scaturire una reazione in colui che usufruisce della tua opera, piacevole o drammatica che sia, ecco in quel caso credo che si possa parlare di arte».

La creatività di Diego non ha confini, tutto è in divenire, dall’oggetto, che assume un significato diverso nel processo di trasformazione, al professionista che lo produce.

La vita dell’artista e artigiano lucense ne è la piena dimostrazione: «quando ho iniziato a fare recycled art – ci spiega Diegoil processo creativo era molto più istintivo: prendevo un oggetto, ci vedevo un becco di un animale e poi ci costruivo qualcosa intorno. L’esperienza e l’arrivo di commissioni hanno reso il mio stile adattabile alle diverse esigenze dei miei clienti e collezionisti». Tutto scorre, per l’appunto e tutto si trasforma.

Quando gli chiediamo di descriverci il suo approccio all’arte del riuso Diego parte da lontano; «i miei primi approcci all’arte partono ad inizio anni duemila. La motivazione stava dentro di me, avevo l’esigenza di esprimere il mio io interiore e siccome non ero molto bravo con la musica o con altre forme d’arte scoprii che la pittura poteva essere una giusta valvola di sfogo. La passione per la recycled art invece è relativamente recente. Il mio percorso inizia nel 2014, anno in cui incontro Andrea Lucci, un artista che vive nel pisano e che produce robottini con materiale di recupero. Folgorato dai suoi lavori, pensai che siccome la manualità non mi mancava potessi iniziare a fare qualcosa del genere».

Ecco allora i primi tentativi, fatti di successi e fallimenti ma con una nuova consapevolezza: quella di aver trovato finalmente la propria strada. La scoperta dell’arte del riuso apre per Diego un mondo totalmente inesplorato, pieno di possibilità creative e che finalmente fa sentire a casa l’anima interiore del nostro protagonista: «Attraverso questa forma d’arte ho trovato qualcosa che mi rispecchia – ci spiega Diego – e mi fa sentire fiero. Lo faccio per me e anche per gli altri». Il primo oggetto prodotto fu un uccello e Diego, con una punta d’orgoglio, ci sottolinea che adesso quel pezzo si trova in una collezione privata.

Ma con che cosa lavora maggiormente l’artista lucchese e soprattutto da dove saltano fuori le miriadi di oggetti che l’artista conserva ben ordinate sugli scaffali del suo laboratorio? «Lavoro tanto con il metallo e il legno. La plastica, per quanto sia accattivante come idea, non sono ancora riuscito ad utilizzarla. Il materiale che preferisco in assoluto è il metallo perché ti dà quella sensazione di pesantezza che a lavoro finito mi energizza. Il legno lo utilizzo quando sono a corto di idee perché, essendo un materiale vivo, basta toccarlo per farsi venire in mente qualcosa: molto spesso una bella passeggiata in spiaggia è una fonte di ispirazione pressoché infinita». Per quanto riguarda l’accumulo di materiale «all’inizio la cosa era un po’ più magica – ci spiega – andavo per strada e raccoglievo qualsiasi cosa potesse tornarmi utile, un po’ come una gazza ladra. Con il passare del tempo, la passione si è trasformata in un vero lavoro con vere e proprie commissioni e il materiale da reperire è diventato sempre di più. Da quel momento ho chiesto aiuto agli amici, ai conoscenti e adesso quando qualcuno deve svuotare una cantina sa che può chiamarmi».

E’ indubbio che questo tipo di arte sia legata indissolubilmente all’ecologismo, tema sempre più presente e sentito nella vita quotidiana di ognuno di noi. Il tema del riuso non è nuovo nel mondo dell’arte: già in passato artisti come Picasso, Duchamp e Manzoni (solo per citarne alcuni) hanno utilizzato questo modo di fare arte per veicolare precisi messaggi. Tuttavia, quando affrontiamo l’argomento con Diego, la sua risposta ci lascia piacevolmente spiazzati, offrendoci la possibilità di analizzare la prospettiva da una diversa angolatura: «per quanto sia legato alla causa ecologica – ci dice Diego – mi ritengo una persona che recupera perché ecologia vuol dire anche saper sfruttare bene le proprie energie interiori, quello per cui siamo fatti e che ci riesce meglio fare. Ecologia nella pratica è cercare di sprecare il meno possibile, fare la raccolta differenziata ecc ecc. In un ambito più spirituale invece vuol dire cercare di capire come fare meno fatica, come produrre meno inquinamento interiore: la posso definire come una sorta di introspezione che ti porta a capire quale è la strada da seguire per arrivare alla felicità, non solo in ambito lavorativo. In poche parole un modo equilibrato per vivere, per far stare bene te e chi ti ci circonda».

Il percorso non è stato affatto facile ma da quando due anni fa ha lasciato un lavoro sicuro presso le Poste per dedicarsi appieno alla sua ricerca artistica le cose sono andate sempre meglio: la pandemia è stata un’occasione, più che una perdita e Diego l’ha sfruttata per chiudersi nel suo laboratorio, intervallando il suo lavoro con delle lunghe passeggiate nelle colline circostanti: «dal punto di vista creativo, non me ne vogliate, il primo lockdown è stato di gran lunga il periodo in cui ho lavorato meglio di tutta la mia vita. Rimanendo solo con me stesso mi sono detto: tira fuori il valoroso guerriero che è in te e produci. Ho prodotto moltissimo e il riscontro della clientela è stato sicuramente ottimo».

I lavori di Diego sono sempre più apprezzati e come ci ha spiegato, negli ultimi tempi, anche grazie ai social, è riuscito a far arrivare le sue opere in tutta Italia e anche in Europa.

Far tessuto e instaurare rapporti con altri artisti è fondamentale e aiuta, non solo a farsi conoscere meglio ma anche ad instaurare una tela di contatti: una sorta di corporativismo di rinascimentale memoria secondo le parole di Diego: «artisti uniti sono più forti di artisti individualisti. Scambiarsi idee e provare ad aiutarci nell’ottica di poterci vivere con l’arte. Da questa esigenza è nata a Lucca questa nuova realtà legata ai temi del riuso chiamata Nuova Luce. Il progetto nasce grazie all’idea di Giacomo Bolognini, artista che fa artigianato riutilizzando le moke per il caffè . Gli altri componenti sono Fabio Rubinelli, un writer che adesso fa grafica a pennello e Simone Chelini, pittore che ama dipingere molto spesso su materiale di recupero come ante o pannelli».

Tra continue idee, nuovi progetti e collaborazioni sempre più frequenti l’artista lucchese rimane ancorato ai principi che gli sono stati tramandati dalla propria famiglia: «il mio obiettivo – conclude – non è la fama, né l’avidità. Senza grandi pretese, ho cercato di tornare a fare quello che mi piace fare». A vederlo, immerso nel suo laboratorio di Vorno circondato da campi e colline piene di ulivi in una delle zone più belle ed affascinanti della lucchesia, sembra proprio che ce l’abbia fatta.