Clizia, la psiconcologia per sostenere i malati di tumore e la ricerca di nuove frontiere

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Clizia, la psiconcologia per sostenere i malati di tumore e la ricerca di nuove frontiere

Clizia, la psiconcologia per sostenere i malati di tumore e la ricerca di nuove frontiere

Si dice che la vita sia quella cosa che ti capita mentre sei impegnato a fare altri progetti. Come quando invii la tesi di laurea magistrale mentre stai per iniziare il saggio di danza, quando scopri di aver vinto il dottorato di ricerca mentre sei in vacanza a Praga oppure quando scegli il tema della ricerca a cui dedicherai i prossimi anni mentre sei seduta al bar a sorseggiare uno spritz. Sembra la trama di un film, uno di quelli che ti tiene incollato al televisore perché non sai mai cosa potrebbe capitare di lì a poco, eppure qui dietro non c’è nessuna regia. A dettare le regole di quelle che sono alcune fra le tappe più significative della carriera di Clizia Cincidda, 29 anni, dottoressa magistrale in Psicologia clinica e della salute a Pisa, psicologa abilitata e oggi dottoranda all’Università Statale di Milano nel corso Medical Humanities, infatti, ci sono solo l’ambizione, lo studio e l’amore per la sua professione. «È così che sono arrivata fino a qui, seguendo i sogni e le passioni – racconta -. Quando ho finito il liceo, volevo fare medicina, ma il test d’ingresso mi ha sbarrato la strada. Quindi mi sono iscritta alla facoltà di “formazione scientifica sul farmaco”, pensando che le materie mi avrebbero aiutata per affrontare di nuovo la prova. Invece, l’anno seguente sono stata ammessa a riabilitazione psichiatrica nel ramo delle professioni sanitarie e poi a veterinaria». Uno di quei bivi dove, sbagliare, sarebbe stato fin troppo facile. Eppure pochi giorni nella clinica per animali di una conoscente sono bastati per indicarle la via. O almeno così credeva. «Dopo un anno di riabilitazione psichiatrica, grazie al tirocinio in psichiatria, ho capito però che quell’ambiente mi piaceva molto, ma non dal punto di vista psichiatrico. Dunque l’anno seguente, ho provato il test di psicologia e sono entrata».

È stato come lo spalancarsi di una porta, dopo che hai cercato a lungo la chiave. Tanto che, oltre quel varco, puntare verso il nord le è sembrato quasi un gesto naturale. «Per entrambe le tesi ho scelto come argomento la psiconcologia e, una volta laureata, ho diviso il tirocinio fra Pisa – per continuare la ricerca che stavo già svolgendo – e Milano presso l’Istituto europeo di oncologia. Successivamente ho partecipato al bando per il dottorato nell’ambito della psiconcologia aperto nella stessa struttura e l’ho vinto».
Ormai, dopo tanti vicoli ciechi, la sua stella polare illuminava fiera la rotta. «La prima sfida è stata ideare il progetto di ricerca, trovare un argomento che fosse innovativo e potesse piacere al gruppo».

Una volta chiaro su cosa concentrarsi, l’obiettivo si è espanso: aria, forza, umanità, lotta, rinascita, scelta, resistenza, possibilità, contatto, fiducia. Pulirsi gli occhi, alzare la testa, allontanare il dolore e accogliere il buono, ricominciare a sorridere, cogliere la generosità dell’esserci. Comunicare positività, liberare uno sfogo, aiutare a schiarire i pensieri. Ecco come il suo lavoro ha iniziato a prendere forma: tendendo le mani per sorreggere il cuore di qualcuno«Un giorno, nel reparto di oncologia, una signora anziana mi ha detto “tu sei la dottoressa sorriso e a me basta guardarti per stare meglio”. Ecco, quando vivi queste emozioni, è lì che ti rendi conto quanto importante sia il tuo lavoro e quanto tu possa fare la differenza. Allora, anche solo entrare in una stanza e dire “Salve, io sono qui per lei”, acquista un valore smisurato».

A questo patrimonio emotivo, si aggiunge quello accademico. «Della ricerca mi piace l’idea di poter partecipare alle scoperte – continua – Trovare qualcosa di nuovo, modalità fino ad allora sconosciute, vie non battute per aiutare le persone».

Due facce di una stessa medaglia. «Do il mio contributo: dal punto di vista clinico, cerco di esserci per le persone che hanno bisogno; dal punto di vista universitario, faccio di tutto per rendermi utile con la scienza – prosegue – lasciando che il lavoro assorba la mia vita quasi interamente. Eppure dedicarmici mi dà serenità, mi fa sentire appagata».

Purtroppo, anche nel suo ambito, il Covid ha segnato qualche stop, costringendola a smart working e a incontri virtuali. «Lavorando su un progetto che prevede l’interazione con i pazienti, in questa fase abbiamo dovuto prendere una pausa. Il contatto umano è troppo importante anche per l’alleanza terapeutica».

Intanto però prosegue studiando e scrivendo articoli: nonostante che, anche il processo editoriale abbia subito dei rallentamenti, Clizia punta sempre dritto. E alla se stessa del futuro augura «di far tesoro di tutti gli insegnamenti che la Clizia del passato ha fatto propri e di quelli che sta facendo la Clizia del presente. Che si ricordi gli errori che ha commesso in modo da non caderci di nuovo. Di non perdere la voglia di migliorare, conoscere, mettersi in gioco e, più di tutto, di crederci». È questo il suo messaggio. «Non arrendetevi, non fatevi abbattere, non rinunciate in partenza. La mia esperienza deve essere un esempio. A chiunque si trovi di fronte a una scelta di vita, come l’università o il lavoro, io dico di non sentirsi sbagliato, se la prima volta non va. Quando una cosa non funziona, non possiamo farla funzionare per forza. A volte, basta cambiare prospettiva, altre dobbiamo trasformarla del tutto. In ogni caso, non dobbiamo lasciarci spaventare dal cambiamento e, soprattutto noi giovani, non dobbiamo permettere a nessuno di attribuirci un valore diverso da quello che ci meritiamo».