Psicologo e arrampicatore: la verticalità di Ivan Maffei nello sport e nella vita

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Psicologo e arrampicatore: la verticalità di Ivan Maffei nello sport e nella vita

Psicologo e arrampicatore: la verticalità di Ivan Maffei nello sport e nella vita

di Flavia Barsotti

Quando Ivan Maffei, 29 anni a febbraio, racconta cosa sia per lui praticare l’arrampicata, lo fa con la voce di chi sa di aver avuto il privilegio di conoscere un grande amore. Lo fa con rispetto, con riconoscenza, scegliendo accuratamente le parole, come se gli bastasse un pensiero per rivivere l’emozione di trovarsi di fronte all’ultimo “rinvio” in cima a una parete. Come se, quello a metri e metri di altezza da terra, con le mani sporche di magnesite e l’imbraco che lo stringe in vita, fosse un vero e proprio incontro fra lui e la sua libertà.

Una passione iniziata quasi dieci anni fa, un po’ per caso e un po’ in sordina, come spesso succede quando si spalanca il cuore a qualcosa di nuovo e potente. “Al tempo, l’arrampicata era davvero poco conosciuta e a Lucca per allenarsi c’era solo un piccolo locale all’interno della palestra Iti – spiega Ivan – Cominciai a frequentarlo grazie a una coppia di amici e subito fui attratto da quell’esperienza”. A guidarlo, quando ancora la tecnica era da affinare, c’era soprattutto l’istinto. Quello stesso che, da piccolo, lo portava a montare sugli alberi o a raggiungere la punta più alta degli scogli: come se fosse un percorso definito senza che ancora lo sapesse, come se – lui e l’arrampicata – si fossero in qualche modo scelti a vicenda tanto tempo fa.

Da lì, è stato tutto “in salita”, o per meglio dire, “una salita” da affrontare, un po’ all’aperto e un po’ in palestra, un po’ stringendo fra i polpastrelli gli spigoli acuminati della roccia, un po’ tenendosi saldi alle prese di plastica colorate negli ambienti al chiuso. “Fino a poco tempo fa, a Lucca non c’era un luogo indoor dedicato – ricorda – Così negli ultimi cinque anni la mia vita è stata scandita dal fare la spola fra le falesie della provincia e le città limitrofe, come Pisa e Firenze, insieme ai miei compagni di avventura con cui avevo acquistato anche alcuni strumenti da tenere in casa per migliorare le nostre prestazioni. Solo a ottobre di quest’anno, qualcosa è cambiato, con l’apertura della Farm Boulder Gym a Guamo che al momento purtroppo è chiusa a causa del Covid”. Un imprevisto che non ha fermato la sua dedizione, riportandolo ad allenarsi in camera, come faceva una volta, con esercizi specifici per migliorare la forza delle dita. “Sono comunque soddisfatto che anche a Lucca sia stato recepito questo sport – prosegue – Pensare che, solo una manciata di anni fa, quando cercavo di spiegarne il significato ai miei conoscenti, non mi sentivo capito. Mancava proprio la cultura, c’era scetticismo verso una pratica che per molti era inconsueta e alternativa. Oggi, invece, forse anche grazie al fatto che, da ora in poi, sarà considerata una disciplina olimpica, anche qui è stata maturata maggior consapevolezza: sentiamo spesso dire che viviamo in una città dalla mentalità chiusa, ma evidentemente, le ventate di aria fresca arrivano forti anche qua”.

Adrenalina, espressione, incontro mentale e fisico, sacrificio, dedizione, costanza. E ancora, possibilità di viaggiare – “perché la roccia che troviamo in Spagna non è mica la stessa della Francia” precisa – e infine privilegio di ammirare il mondo da sopra. Questo significa per lui l’arrampicata. Ma, in fondo, guardare le cose da un’altra prospettiva, è quello che gli riesce meglio, perché in realtà, nella vita, Ivan è uno psicologo del lavoro iscritto all’albo, che, mentre pensa di iniziare la scuola di psicoterapia, si occupa di formazione aziendale. “Capire le persone, non dal punto di vista anatomico, ma piuttosto interiore e profondo, è sempre stata la mia attitudine” afferma. E lui non è il tipo da mettere a tacere certe vocazioni. È uno che si innamora, Ivan. Che non accetta i vuoti o le mezze misure. Uno che, le sensazioni, le libera e non le ripone: uno che alza il sipario, insomma.

E a chi gli chiede se ci sia un fil rouge che collega le due grandi storie d’amore della sua vita – l’arrampicata e la psicologia – risponde senza nemmeno doverci riflettere. “Certo che sì. Lo sport ha una grandissima componente mentale che tante persone, alle prime armi, sottovalutano: per esempio, il cercare di provare una “via di arrampicata”, implica un numero più o meno grande di tentativi e di fallimenti. Questo è un aspetto da considerare. Il dover perseverare, impegnandosi in qualcosa che all’inizio sembra quasi impossibile, richiede tenacia, devozione, resilienza”. Qualità che, non solo Ivan ha fatto proprie, ma cerca di trasferire agli altri: nel lavoro, per favorire cooperazione e apprendimento e nello sport, quando qualcuno si affaccia per la prima volta al mondo del climbing. “Mi piace insegnare, anche partendo dalle basi. Credo di essere portato. E poi mi diverte mettere a disposizione le mie conoscenze. Mi sento nutrito a mia volta constatando i miglioramenti di chi mi sta vicino”.  Spirito di gruppo – i suoi compagni di scalate sono punti fermi anche nel quotidiano -, motivazione e capacità certo non gli mancano e nel futuro, vede proiettata una luce nitidissima. Che si immagini fra due, fra cinque o fra dieci anni, Ivan si vede comunque lì, a percorrere strade. Che siano “vie” verticali e scivolose lungo le pareti rocciose o che si tratti di bivi della vita senza segnaletica, lui sa che insisterà ancora con determinazione, fissando sempre più in là i suoi obiettivi.