Chiatri Puccini, ed un ecologista ante litteram

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Chiatri Puccini, ed un ecologista ante litteram

Chiatri Puccini, ed un ecologista ante litteram

Giacomo Puccini non tentò mai di recidere completamente il cordone ombelicale che lo legava alla civiltà di fine Ottocento – inizi Novecento. La sua arte richiedeva di comunicare chiaramente e direttamente al pubblico di tutto il mondo, senza distinzioni di livello culturale, sociale, politico, età, razza o sesso.1 Questo suo intendimento non poteva essere realizzato individualmente, ma presupponeva meccaniche commerciali pilotate da un grande editore come Casa Ricordi. Con l’eccezione assai meno significativa di Sonzogno, Ricordi operava in Italia in regime di quasi monopolio, ed aveva sedi internazionali che favorivano le rappresentazioni in Europa e nelle Americhe. La volontà pucciniana di inchiodare lo spettatore chiunque esso fosse, era così enormemente facilitato. Come il sostentamento del compositore di successo: la legge sul diritto d’autore gli permetteva di curare esclusivamente il suo lavoro creativo e viverne agiatamente.2 I compiti pratici di imporre le sue opere erano delegati dunque all’Editore.

Se accettava la logica del libero mercato, Puccini avvertiva però l’urgenza di affrancarsi dal dispotismo di una civiltà ormai capitalistica, ricercando pace e serenità in ambienti a preminente tasso di naturalità. Non dunque le città fondate sul mattone e la pietra lavorata (il cemento e l’asfalto erano ancora da venire) inibenti il proliferare di flora e fauna, ma la montagna, la campagna, il lago, il mare.

Anelo – come la neve il sole, come il caffè lo zucchero, come Riccioni la Camera – la quiete del monte, del piano, del verde, del rosso tramonto eternato dal pennello tuo con ripetuta (ahi, troppo) insistenza!3

Odio queste agglomerazioni di creta che chiamansi città e per di più si ha il coraggio di chiamarle belle! Per me le città non sono altro che turpi appropriazioni indebite fatte alla germogliante natura!4

Ne sono stufo di Paris. Anelo il bosco olezzante con relativi profumi, anelo il libero ondeggiare del ventre mio in largo calzone con assenza di gilet. Anelo al vento che libero e olezzante mi giunge dal mare. Ne assaporo con le nari dilatate il salso jodico spirare a larghi polmoni! Odio i selciati! Odio le chiese! Odio i palazzi! Odio gli stili! Odio i capitelli. Amo lo bello stile del pioppo e dell’abete, la volta dei viali ombreggianti e novello druido farei mio tempio, mia casa, mio studio lo stendersi verde del fresco sotterfugio di bosco annoso o giovine. Amo il merlo, il capinero, il picchio! Odio il cavallo, il gatto, il passero dei tetti, il cane di lusso. Odio il vapore, il cappello a cilindro, il frak.5

Rifiutare certi simboli della civiltà industriale professando amore spassionato per una vita in simbiosi con la natura fa di Puccini un antesignano del movimento ecologista. Ancora non si poteva essere consapevoli dei guasti che accompagnano il progresso, ma il compositore riconosce intanto che ritirarsi dal mondo ha non solo un influsso benefico sulla sua persona, ma anche e soprattutto sulla sua arte, cui riconosce una funzione eminentemente sociale.

Io amo il mio guscio come la chiocciola e sempre più mi accorgo che a diventar cignali solitari è la miglior vita di questo mondo. […] Poi raccoglimento e lavoro per il bene mio e anche un poco per la nostra Italia che per l’arte ha una bandiera tanto fulgida e bella.6

Residenze scelte da Puccini sono così Torre del Lago, Chiatri, Boscolungo presso l’Abetone, e la maremmana Torre della Tagliata in provincia di Orbetello. Se tre indizi forniscono una prova, qui si abbonda. Il rifiuto di vivere in una città e la preferenza per località semideserte dove potersi isolare, magari andare a caccia, ed arrovellarsi sui suoi ‘parti’ sempre dolorosissimi, hanno non solo una logica inderogabile, ma anche una storia importante.

La rivalutazione della ‘natura’ e della ‘naturalità’ si radica nel periodo protoilluminista, e Rousseau diventa un vero portabandiera. La sua militanza avrà influssi diretti in campo melodrammatico, originando la celebre querelle des bouffons. Il partito dell’opera buffa italiana, il cui campione fu identificato da Rousseau ne La serva padrona di Pergolesi, venne contrapposto a quello dell’artificiosissima opera seria francese (la tragédie lyrique). Ma [la]rivalutazione del primitivo, della forza e del vigore a scapito della chiarezza, dell’oscurità a scapito della luce, della passione e del sentimento a scapito della razionalità fredda e inespressiva, dell’indeterminato e del non finito a scapito della forma conchiusa si ritrova con frequenza in tutta la cultura europea del Settecento e non è certo Rousseau ad aver introdotto per primo questi temi. Tuttavia forse nessuno, per quanto riguarda la musica ha saputo svilupparli in un così ampio e coerente sistema.7

L’opera buffa italiana era cioè vista come un prodotto sì dell’ingegno umano, ma aderente ad una naturalezza del tutto ideale, cui si doveva comunque tendere: Il ritorno alla stato di natura è argomento principe della Nuova Eloisa, del Contratto sociale e dell’Emilio di Jean-Jacques Rousseau, opere scritte nell’arco temporale che va dal 1758 al 1762. «Tutto è bene, egli dice al principio dell’Emilio, quando esce dalle mani dell’Autore delle cose; tutto degenera fra le mani dell’uomo». Bisogna dunque ritornare alle origini o comunque tendervi.8

Nell’Emilio Rousseau precisa però che formare l’uomo della natura non vuol dire farne un selvaggio da relegare in mezzo ai boschi, ma una creatura che, vivendo nel turbine della società, non si lascia trasportare né dalle passioni né dalle opinioni degli uomini, che vede coi suoi occhi e sente con il suo cuore, e che non riconosce altra autorità fuori della propria ragione.9

Abbagnano conclude che «così anche nell’Emilio la natura umana non è l’istinto o la passione nella sua immediatezza, ma piuttosto l’ordine razionale e l’equilibrio ideale dell’istinto e delle passioni». La scelta di Giacomo Puccini di non tagliare i ponti con la civiltà, ma di sapersene estraniare per recuperare la piena padronanza sulla propria esistenza, è erede dunque delle convinzioni rousseauiane. Ed è perfettamente organica alle sue scelte musicali, modernissime ma mai radicalmente estreme nello scavalcare la tradizione e la logica tonale. Gli eccessi artistici a connotazione avanguardistica non lo convinceranno mai. Puccini sarà casomai un fautore della pitagorica ‘armonia’, da intendere come ‘sintesi dei contrari’ (nella fattispecie tradizione e progresso). Si produrranno così dosate soluzioni tra il convenzionale ed il progressivo (in medio stat virtus, recita un proverbio non a caso latino), sempre illuminate da una lucida e finissima drammaturgia e ad essa funzionali.

Dalla seconda metà dell’Ottocento alcuni artisti sentono invece il bisogno non solo di evadere con la fantasia,10 ma di ‘chiudere’ con l’occidente civilizzato:

La poetica dell’evasione si trasformerà assai presto in pratica dell’evasione. Il caso di Rimbaud è il più tipico. […] Diventare selvaggi: ecco dunque uno dei modi per evadere da una società divenuta insopportabile. E’ ciò che ha cercato di fare anche Paul Gauguin, dando alla sua impresa un carattere che potremmo dire esemplare. […] [Il mito del buon selvaggio] da mito convergente sulla realtà sociale per modificarla, diventa mito divergente da tale realtà per ritrovare, fuori di essa, fuori della sua brutalità, una felicità non contaminata, innocente. […] L’esotismo di Gauguin non [ha] il tono di una semplice divagazione, ma riveste un chiaro significato di denuncia. Questa evasione egli l’ha tentata in due direzioni, la prima verso il mito della spiritualità popolare nei sue due soggiorni in Bretagna; la seconda nel mito del primitivo coi sue due viaggi a Tahiti e con l’ultima dimora all’isola Dominique delle Marchesi, dove morì nel maggio del 1903. […] Ciò che resta chiaro e indiscusso è il suo ostinato tentativo di superare, nella vita e nell’arte, l’alienazione dell’uomo così com’era andata ormai verificandosi nell’involuzione della società staccatasi dalle sue premesse rivoluzionarie. […] Sulla scia di Gauguin, Kandinsky andrà nel Nord Africa; Nolde nei mari del Sud e in Giappone; Pechstein alle Isole Palau, in Cina, in India; Segall nel Brasile; Klee e Macke in Tunisia; Barlach tra i miserabili della Russia meridionale. Altri sceglieranno ancora il suicidio come soluzione: Kirchner, Lehmbruck… Ma non era un tentativo di evasione nella purezza della natura anche il ritiro maremmano di Fattori?11

Celebre è dunque la scelta estrema operata da Paul Gauguin, che tenta una rigenerazione non solo genericamente ‘umana’ ma propriamente artistica:

L’evasione fu il tema dominante della vita di Gauguin. «Ho sempre avuto la fissazione delle fughe», ebbe a confessare, e le fughe le ritroveremo in tutte le tappe della sua corsa dolorosa. Evaso dalla Borsa, evaso dalla morale e dal conformismo borghese, evaso dalla famiglia e dalle costrizioni che essa impone, dall’Europa e dalla cultura occidentale, evaso dal cristianesimo nel suo formalismo dottrinale, evaso dalle vie in cui si istradava la pittura del suo tempo, Gauguin, tipo ideale del pittore maledetto, rivoltoso che proclama la sua rivolta, resta colui che ha volontariamente fuggito tutte le schiavitù e spezzato tutti i vincoli che imprigionano l’uomo moderno e in cambio gli garantiscono la sicurezza. Pure […] nella sua pittura, e a dispetto della sua rivolta, egli resta un classico.12

Nel 1887 parte per Panama e la Martinica, ritorna in Bretagna per chiudere la sua esistenza in Polinesia, visitata per la prima volta nel 1891, proprio quando Puccini va ad abitare, in affitto, a Torre del Lago. 13

Chiatri si trova a circa dodici chilometri da Lucca in direzione Viareggio, a circa 300 metri sul livello del mare, sulla collina prospiciente il lago di Massaciuccoli che Puccini poteva così ‘tener d’occhio’.14 La prima volta che Chiatri ci risulta nominata in una lettera di Puccini risale al luglio 1898. Laconicamente, Giacomo scrive: «Martedì sarò a Chiatri».15 Ancor prima di Torre del Lago (agosto 1899), l’ancora residente in Milano Giacomo Puccini vi acquistò la sua prima proprietà, ossia la vecchia villa dei Samminiati, situata in una posizione stupenda e la rifece di sana pianta. Così il compositore descriveva il panorama: «Di lassù si scorge un incanto: la costa, da Livorno a Spezia; l’Arno e il Serchio; la Corsica, in tempo chiaro, le isole di Gorgonia e Capraia, ed anche la macchia di San Rossore, Migliarino e la macchia lucchese dei Borboni». Chiatri a quel tempo, secondo Dante Del Fiorentino, contava non più che una dozzina di famiglie, 200 pecore, 10 mucche, una manciata di galline e una chiesa solitaria».16

Dante Del Fiorentino afferma invero che Puccini avrebbe comprato una casa diroccata da suo cugino Don Roderigo Biagini,17 mentre Simonetta Puccini ipotizza che un Di Grazia nominato in una lettera da Giacomo potrebbe essere il proprietario della cascina rilevata dal compositore.18

Tutte queste notizie hanno un fondamento anche se, in realtà, il 5 dicembre 1898, con atto del notaio Francesco Leonardi di Lucca,19 per 12.500 lire Puccini compra in località Caroggio terreno e fabbricati.20 Precisamente, «un fabbricato padronale a due piani, con due stanze sotterranee ad uso di cantina con scale esterne di pietra, con cortile cinto da muro […]», «beni seminativi, oliveti, vitati, ed in piccola parte boschivi con due fabbricati colonici con stalla e bestiame, con cloaca e stabbioli, con seccatoio, e con ogni accessorio, e dipendenza […]», e vari «oliveti, castagneti e boschivi». Il venditore è Eugenio Menichetti, parroco di Mutigliano,21 subentrato nel 1883 a quel don Giacinto Cantoni che aveva vissuto la turbolenta adolescenza del giovane Puccini. La memoria di monsignor Del Fiorentino ha ‘peccato’, ma venialmente: se non fu il canonico Biagini, ma il parroco Menichetti a vendere Chiatri a Puccini, è pure vero che nel 1885 Menichetti aveva comprato la proprietà (ereditata da Carolina Samminiati nel 1874) da Evaristo Biagini, padre di Roderigo e dunque zio di Giacomo. Il Di Grazia ricordato da Simonetta Puccini sembrerebbe effettivamente avere un qualche ruolo nella compravendita, comparendo un certo Pasquale Di Grazia come testimone nell’atto notarile.

Ferruccio Pagni offre una testimonianza assai accurata del come e perché Puccini si sia interessato a Chiatri:

In verità Puccini ambiva a una casa propria e, non potendola avere sul lago, come desiderava, cercò di farsene costruire una sull’altra sponda o sopra le colline di fronte a Torre. Fu Alfredo Caselli a venirgli in aiuto. Gli propose l’acquisto di un podere, con tanto di fattoria, sul colle di Chiatri. Il maestro, cui sorrideva l’idea di poter passare finalmente le estati in campagna, senza essere costretto, tutti gli anni, ad affittare or qui or là una casa o una villetta, come già gli era accaduto in quel di Pescia e a Monsagrati, accettò la proposta del Caselli. E poi, via, il fascino della proprietà per un bohémien è irresistibile, pungente, tal quale che per un rivoluzionario! Quando Puccini fece il suo ingresso nel podere volle che lo accompagnassimo, «perché il… corteo mi dia quel tono che la parte di proprietario richiede». Ma ricordo anche che non potevamo star seri: più Giacomo cercava il famoso tono, meno gli riusciva trovarlo. […] Dopo la colazione, improvvisata con agreste semplicità, vennero i contadini a rendergli omaggio. […] Lì nacque l’idea della villa. La posa della prima pietra avvenne in forma solenne. Sollevato a braccia da me [Ferruccio Pagni] e da Beppe Razzi [suo cognato], seguito dai due fratelli [Guido e Alfredo] Vandini, dal sor Ugenio [Ottolini] e da Alfredo Caselli (obiettivo fotografico pronto), con tanto di bandiera al vento (un fazzoletto legato ad una canna), Puccini venne portato sul luogo stabilito per la costruzione. Afferrata una pietra, la lanciò fra i nostri hurrà vigorosi, pronunciando melodrammaticamente il motto di Cesare al Rubicone.22

Nel 1898 Puccini era reduce dai successi di Manon Lescaut e Bohème, e pronto a raccogliere quelli di Tosca. L’agiatezza portò con sé il problema di investire i lauti guadagni. Dunque Puccini pensò al reddito agrario derivante da un vasto podere in collina e alla possibilità di residenza estiva nella frescura della campagna. Da pochi mesi aveva abbandonato l’idea di comprare dal conte Minutoli la proprietà denominata ‘L’Aquilata’.23 La splendida posizione immediatamente sotto la chiesa di Chiatri con vista sul lago non solo lo convinse ma gli fece balenare anche l’idea di ristrutturare il corpo principale a comoda villa di campagna.24

La posa della ‘prima pietra’ dà l’inizio ad una ‘commedia’ con ‘passate’ assai divertenti. Nelle lettere successive il compositore si profonde infatti in una ostentata pignoleria architettonica, conosciuta come ‘mal della pietra’ o ‘mal del calcinaccio’.

Caro ingegnere, se i buoi veramente occorrono (sentire Beppino) perché avendo già portato rena e mattoni etc lassù ho paura che arriviamo tardi – Ma poi se occorrono, dire subito sottoscritto e invio scudi (meglio a chiodo) (si, può?) Dio boffice! Buoi, trifore, bifore, viaggi a Paris – è troppo in una volta sola […]. Bene la trifora nel mezzo ­mi garba e dai lati le bifore – benone (rispondimi circa affare Richard mattonelle) ­[…].25

La malattia si direbbe grave ed in fase acuta: Puccini affronta tutti gli aspetti costruttivi con cipiglio ed attenzione anche a dettagli minimi. Qua e là affiora però un problema estremamente delicato: lavorare, anche celermente, ma economizzare e guai a ‘scialare’.

«Caro Leone bozzetto piaciuto a tutti trifora trovata ottima – anche senza ingrandimento proposto da me. Piacerebbemi piccolo poggiolo o appendice pianerottolo scala esterna prendente angolo corpo avanzato, come era primo progetto. Tettoia (gronda) la desidererei più sporgente. Pensai se possibile fare a meno persiane entranti muro. ­Si potrebbe supplire con stoini a stecche di legno legate in ferro con stecca ultima di ferro per peso fissativo. ­Abolire corda, mettere in sua vece catenella ottone o etc. Sarebbe grande risparmio – ma prego dirmi parere vostro – anche circa vento che picchia alla più puttana in quel di Chiatri. Qui all’hotel Milan evvi o ecci o havvino alle finestre ordigni cui sopra – andrò a vederli e prenderò note e ragguagli. A cassettone travi scoperti desidero. ­Stanze: a Manger salone d’entratura e studio. Il resto a canniccio uguale […]. Pensiamo ai marmi da alternare ai mattoni.26

«Caro ingegnere, grazie auguri e ragguagli idraulici. […] Sono proprio contento che quest’acqua ci sia – Farò venire i fiorentini per l’impianto e metteranno il cassone oppure dei coppi grandi sul tetto nei quali mi si dice che l’acqua si mantiene benone. Va bene per il famoso scaleo marmoreo. Cerchi però di opinare. I famosi pezzetti di marmo per gli archi sono venuti? Mi dica: la scala si potrebbe farla tonda? Cioè non a angolo ma girata? Starebbe bene, come teatralità. Costerà di più! Domani manderò a Casentini lire 500. Me l’ero dimenticato.27

Anche in fase di progettazione architettonica Puccini non può dimenticarsi della ‘teatralità’, a lui carissima nella fase compositiva. Addirittura anche se ciò comporta costi superiori. Di grande effetto doveva essere poi anche il «famoso trave di cipresso»:

Potremo parlicchiare della scala di marmo dei mattoni scolpiti dei muratori numerosi che Filippi dovrà se ha fegato mettere. ­Vedremo anche il famoso trave di cipresso del quale tanto si è parlato dell’acqua e spero per quell’epoca avere dati e ragguagli da Firenze.28

La lettera seguente fa riferimento alle sue indecisioni, celebri durante la gestazione librettistica tanto da fare ‘rincretinire’ i suoi collaboratori per i numerosi ripensamenti e rifacimenti. Quella che Puccini definisce la sua ‘veduta tarda’ colpisce anche fuori dell’agone operistico.29

«Caro ingegnere, parto domani giovedì. Ho visto Bianchini e mi ha detto che lui da tempo ha finito le finestre come da contratto ma gli mancano i ferri. Era inutile allora fargli il contratto con penale di lire 10 al giorno, quando non si può mettere al posto il lavoro non per colpa del falegname. Aspetta sempre l’ordinazione delle finestre grandi a libricciolo e non sporti interi (perché io desidero che siano spezzate cioè snodate perché non ingombrino le stanze). Se ne parlò un mese fa, se si ricorda a Chiatri e ancora non sono maturate le idee circa il modo di farle? Per Dio, così si va alle calende greche. Voglio una buona volta finire questa storia Chiatrese che incomincia a seccarmi sia per le lungagnate del Filippi et compagnia sia per le indecisioni diciamo nostre (anch’io ne ho avute la mia parte). Dunque caro ingegnere cerchi di porre termine a quel che resta. Concluda per le latrine come si disse con piccolo serbatoio non a catena Pull e desidero la casa chiusa come pure mi urge la cantina chiusa per metterei il vino mio. Allora all’opera e via di corsa economicamente e bene. Saluti mi scriva a Milano dicendomi della conclusione Bianchini e latrine. Suo aff.mo G. Puccini. P.S. – Le ringhiere e poggiolo sono ordinate?30

Spassosa è la meraviglia ostentata da Puccini quando l’ingegner Puccinelli gli presenta il conto, evidentemente molto dettagliato e ‘salato’:

«Dirle quanta fu la mia meraviglia nel ricevere il suo giornale (onorari), credo sia inutile. Lei sa benissimo che fra noi non corse mai parola di onorari. Ha detto e ripetuto urbis et orbis che ella si prestava gentilmente per l’onore (bontà sua) di essermi utile e che a lavori finiti avrebbe accettato un regalo per semplice ricordo. Le debbo dire che se io credevo doverle pagare tutte le innumerevoli gite-giornate e tutte le altre operazioni cui lei accenna nel suo giornale, avrei agito diversamente. In primo luogo si sarebbe stipulato un contratto regolare per compimento dei lavori a tempo determinato (Palazzo Pitti fu fatto in meno tempo!) quindi il giorno che con lei non fossi andato d’accordo, l’avrei ringraziato, rivolgendomi altrove. Mentre ciò non poté avvenire perché Ella si occupava delle mie costruzioni (ahì!) ad honorem. Non posso negare che Lei non abbia avuto grandi cure per i lavori di Torre e di Chiatri. Il suo giornale parla chiaro le gite furono numerosissime. E si capisce, doveva occuparsi degli impiantiti rifatti varie volte. Doveva sorvegliare i pentimenti ­che se i medesimi fossero camicie, a Chiatri ci dovrebbe essere un magazzino di lingeria! Il famoso portone Pera che servirà a far guadagnare denari ai vetrai e farmi prendere dei malanni. Col valore del medesimo e delle finestre 1° piano avrei fabbricato la casa del contadino. Le altre critiche le tralascio, come quella d’avermi fabbricato una villa senza poterla riscaldare. E questo nel secolo XX°. Non creda che non riconosca che il fabbricato complessivamente non sia un bel lavoro. È bella la villa ma è tanto cara che se lei mi trova a venderla per il prezzo che mi costa, vedrà ­allora che razza di regalo in vile moneta aurea che le farà il suo aff.mo G. Puccini con tanti saluti».31

Da anni disabitata ed assolutamente bisognosa di una robusta ristrutturazione, la villa di Chiatri è una costruzione di pianta rettangolare a due piani in mattoni ‘a vista’ punteggiata da inserti marmorei che sovrastano le finestre (bifore quelle della facciata al piano superiore). Questa caratteristica, tra il neoromanico ed il neogotico,32 si direbbe dunque esemplata sulla ‘Piaggetta’ dei suoi amici marchesi Ginori Lisci, sulla sponda opposta a Torre del Lago e dunque sotto Chiatri. Sul lato destro, Villa Puccini ha al suo corredo non solo la sopra nominata ‘casa del contadino’ (in pietra), ma anche un fabbricato (in pietra e laterizi) adibito a fienile ed a rimessa per gli animali e gli attrezzi agricoli. E’ dunque affascinante ‘monumento nazionale’ non soltanto per aver ospitato cotanta gloria musicale, ma anche per la raffinatezza costruttiva, la preziosità di numerosi particolari (per tutti, le terrecotte rettangolari sotto le finestre del piano terra dedicate alle sue opere ed i volti, maschile quello centrale e femminili quelli alle estremità, in bassorilievo rotondo sormontanti le tre bifore), ed il belvedere sull’universo.

Come dichiara nella lettera seguente, Chiatri è stata una ‘pazzia’, che, come tale, fu tutt’altro che apprezzata dalla moglie Elvira e dalla di lei figlia Fosca Gemignani. Se Puccini pensava di essere felice con loro là, in splendido isolamento, si sbagliava non di poco: I gave my right eye for a crazy idea: Chiatri. If I could have at least heard you or Fosca say: «True, it is uncomfortable and it cost a lot but we will be happy there, we will go there and you will be able to work in peace». Never a word of encouragement, never one of kindness. Through the sovereign force of slow insistence I ended up hating Chiatri, which, when I bought it and began its construction, I loved so much.33

La vita a Chiatri era dunque antipatica alla famiglia di Giacomo, che si cimentò anche in ‘mezzucci’ per distoglierlo dal permanere in quella villa.

E un giorno quelli che non volevano restarci pensarono addirittura di inventare una storia di spettri. «E va bene» aveva risposto il Maestro: «quando ne vedrò uno, scapperemo». […] E allora i disperati inventarono gli spettri. […] Si stabilì che lo spirito o fantasma sarebbe stata una creazione scenica del maestro Carignani, magro, dinoccolato, voce cavernosa. La signora Elvira lo avvolse in un ampio lenzuolo, lo munì di fragorose catene da camino da trascinare giù per le scale: e una notte, nella penombra, mentre il Maestro stava coprendo di note le pagine, si affacciò alla porta dello studio. Un boato, un urlo, uno stridere di catene sferragliate […]. Puccini si volse, affrontò lo spettro, e l’afferrò per la barba (barba vera) tirandola così violentemente che il maestro Carignani si mise a urlare dal dolore. «Ah, sei tu?» disse calmo Puccini: «Benone: vuol dire che resteremo qui per tutta la vita». Così si concluse la tremenda storia degli spettri di Chiatri.34

Da Chiatri Puccini scrive alla sua amica Sybil Seligman, magnificandole villa, temperatura e paesaggio, senza tacerle l’assenza di svaghi e la noia che poteva avvincere:

This place is cool with a beautiful view and comfortable to live in. It’s the famous villa in which I’ve never, or hardly, lived; it’s about four hundred metres up, overlooking the sea and the lake. There’s a splendid view; I’ll bring you here in September to see it, and if you like to stay here with the boys you can be its mistress. All the same are no amusement here; it’s a really wild spot, and it can also be boring. And for me it is a bit boring. The more so as I have no work to do!35

Ma la cosa veramente degna di nota è che, frequentemente, Chiatri viene accomunata a Torre del Lago come ideale di quiete e serenità, antidoto alle pur inderogabili parentesi mondane: «[…] Anelo alla mia casa, alla mia quiete, al mio Torre o Chiatri che tu hai visto e che è bellissimo ora che ci ho fatto anche un giardinetto sul davanti».36 A bordo della motonave Kaiserin Augusta Vittoria, transatlantico straordinario che lo avrebbe portato a New York per la prima di Madama Butterfly al Metropolitan, scrive: «Giovedì si arriverà a New York. Bel mi’ Torre. Anche Chiatri. Ora proprio ne ho pieni i coglioni di questi viaggi».37 Da Parigi, per la prima francese di Butterfly, scrive: «Andremo in scena ai primi di dicembre. Quanto mi secca restar qui tanto tempo! Vorrei essere a Torre o a Chiatri, solitario e tranquillo».38 Questa identificazione fra Torre e Chiatri nobilita quest’ultima, specie ricordando cosa significasse per Puccini la sua dimora sul lago di Massaciuccoli: TORRE DEL LAGO, gaudio supremo, paradiso, eden, empireo, «turris eburnea», «vas spirituale», reggia… abitanti 120, 12 case. Paese tranquillo, con macchie splendide fino al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli e passere. Padule immenso. Tramonti lussuriosi e straordinari. Aria maccherona d’estate, splendida di primavera e di autunno. Vento dominante, di estate il maestrale, d’inverno il grecale o il libeccio.39

Praticabile con molte difficoltà, la strada che conduceva a Chiatri era e rimase un problema insormontabile. Da Farneta al bivio per Stabbiano sono quattro chilometri di salita molto ripida. I ciuchi che portarono in groppa gli ospiti e le loro masserie devono essere ricordati con la giusta compassione.40 Questo ostacolo fu probabilmente la causa prima dell’antipatia della famiglia di Giacomo nei confronti della villa di Chiatri. Che Puccini ne fosse influenzato lo si evince anche dal fatto che per oltre dieci anni, dal 1907 al 1918 il pianoforte di Chiatri non venne suonato.41 Dunque le visite di Giacomo furono evidentemente fugaci, ed a titolo sostanzialmente ispettivo.42 Puccini aveva comunque nominato suo cognato Raffaello Franceschini supervisore di Chiatri, appunto per controllare il buon stato e la redditività della proprietà.

Massimo Del Carlo, sindaco di Lucca e suo cognato (medico, marito della sorella primogenita Otilia), non risolve il problema, e Puccini così se ne duole: Volevo venire a Lucca ma mi ha trattenuto la porcheria che Massimo mi fece. Credi che n’ho sofferto. Agire così con me, parente e sindaco, è enorme! E’ cosa da non credere. Solo a Lucca succedono queste cose. Paese strano. Per il parente niente o poco mi sorprende. E’ legge quasi naturale, c’è anche un proverbio: parenti serpenti. L’Otilia non s’è fatta più viva. Certo nel suo cervello dirà che ci ho colpa io etc. Basta di questo.43

I problemi erano evidentemente economici, per stabilire la quota di competenza delle parti interessate. Puccini «non aveva nessuna intenzione di pagar le spese tutte lui, perché la strada servirà al paese, diceva. Tutt’al più avrebbe dato qualche contributo».44 Nel 1912 eravamo ancora ‘in alto mare’, e Puccini riprende la penna per scrivere al rieletto sindaco: So che sei sindaco un’altra volta. Bene. Puoi dire di essere il sindaco-tipo della nostra città. E così anche la sindachessa [la sorella Otilia] sarà contenta. Io pure, benché pensi all’allontanamento sempre più sensibile della famosa eterna impraticabile strada di Chiatri.45

E nel 1920 le cose non erano cambiate. Puccini mette in conto questo con altri problemi pendenti con la città di Lucca, ed ‘esplode’: E a Lucca la famosa lapide non fu mai messa. Ne parlai e ne scrissi anche a Rosadi che mi promise d’occuparsene. Io certo non prego più. La strada di Chiatri, la lapide di mio padre e tante altre cosette che avrebbero dovuto fare i miei concittadini. Niente di niente. Ma se crepo, ti prego di opporti a qualunque ricordo volessero farmi. Stasera sono amaro come il veleno.46

Chiatri era diventata dunque un ‘peso morto’ e Puccini pensò anche di vendere la bella ma poco funzionale proprietà collinare.

Ho trovato il compratore della Tagliata. Non proporla dunque al prof. Bardelli. Trovassi invece da vendere Chiatri sarei contento. Comprerei un poderuccio vicino a Viareggio per averne il reddito fattoriale e senza l’inutile villa.47

Ma un’idea passeggera non impedisce a questa piccola località di fregiarsi del ‘nome Puccini’ e di ostentare così un blasone dal fascino imperituro.

Pubblicato in:

 Michele Bianchi, Chiatri Puccini ed un ecologista ante litteram, in: Giacomo Puccini a Chiatri e a Celle di Pescaglia. Saggi di autori vari, a cura di Beppino Lenzi (Agile di Fondagno), Lucca 2008, pp.121-5.

 

NOTE

1 «Io ci ho messo, in quest’opera, tutta la mia anima; vedremo dunque se le vibrazioni mie saranno in sincronia col pubblico. [..] Io ho voluto una cosa umana, e quando il cuore parla, sia in China o in Olanda, il senso è uno solo e la finalità è quella di tutti». A Renato Simoni, 25 marzo 1924, in: Carteggi Pucciniani, a cura di Eugenio Gara, Ricordi, Milano 1958, n.887, p.550.

2 «Di qui la contrazione progressiva della produzione nuova, coi relativi lamenti degli autori scarsamente inseriti e gli attacchi ricorrenti alla fine del secolo contro le tirannie e i monopoli degli editori. I quali, in verità, evitavano di investire in opere e in autori che non dessero affidamento di sostenersi durevolmente in repertorio, vale a dire di non rendere più avanti, una volta accolti in quel giacimento, passata la festa dell’apparizione. […] Ci voleva il disagio dominante della civiltà piccoloborghese, ci voleva l’economia straniante del mercato finalmente insediato anche in musica, perché Puccini ne ricalcasse l’immagine nella sua opera». Piero Santi, Copyright e tempo della morte nell’opera pucciniana, in: Giacomo Puccini. L’uomo, il musicista, il panorama europeo, Atti del Convegno internazionale di studi su Giacomo Puccini nel 70° anniversario della morte (Lucca, 25-29 novembre 1994), a cura di Gabriella Biagi Ravenni e Carolyn Gianturco, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1997, pp.361-7: pp.363 e 365.

3 A Ferruccio Pagni, Parigi, fine aprile 1898, in: Gara, n.183, p.159. Pagni era un pittore amico di Puccini; Cesare Riccioni un politico che ricoprì la carica di sindaco di Viareggio.

4 Ad Alfredo Caselli, Milano, 22 dicembre 1894, in: «Quaderni pucciniani 1998», a cura dell’Istituto di Studi Pucciniani, Tipografia Campi, Rozzano-Milano 1998, n.109, pp.164-5.

5 Ad Alfredo Caselli, Parigi, 10 maggio 1898, in: «Quaderni pucciniani 1998», n.192, pp.273-4.

6 12 novembre 1919, in:  Carlo Paladini, Giacomo Puccini, Vallecchi, Firenze 1961, n.11, pp.129-30.

7 Enrico Fubini, Gli enciclopedisti e la musica, Einaudi, Torino 1971, p.111. In A Philosophical Inquiry del 1756, Edmund Burke afferma: «I popoli rozzi sono soltanto comuni osservatori delle cose, non sono critici nel distinguerle; ma per questo motivo essi ammirano di più e sono più colpiti da ciò che vedono, e quindi si esprimono in una forma più calda e più appassionata. Se il sentimento è ben trasmesso, opererà il suo effetto senza un’idea chiara, spesso del tutto senza alcuna idea della cosa che gli ha dato origine». Fubini, pp.110-1.

8 Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, vol.II, UTET, Torino 1974, pp.438-47.

9 Idem.

10 L’‘esotismo’ fu un aspetto importante della cultura europea della seconda metà dell’Ottocento, e Pierre Loti (1850-1923) fu un grande esponente: «[…] fornì con i suoi numerosi romanzi e racconti ampia materia per le più cattivanti fantasie esotiche e erotiche. Instambul, Tahiti, il Senegal, sono luoghi privilegiati delle sue avventure, quasi costantemente fatte vivere da un alter ego dell’autore, ad esempio un ufficiale di marina, grande seduttore, al quale si concedono le ingenue, naturali e spontanee fanciulle indigene dai nomi eroticamente sognanti […], suggestive amplificazioni coloniali del nucleo lirico già cantato da Verlaine in Mon rêve familier. […] L’opera di Loti rappresentò anche, in termini positivi, una nuova apertura del mondo francese, nella stagione del primo grande sviluppo di etnologia ed antropologia, al primitivo, al lontano, al diverso. Mario Richter – Lionello Sozzi, 1870-1914, in: Storia della civiltà letteraria francese, vol.II, UTET, Torino 1993, p.1472. La Madame Chrisantheme di Loti è non solo un’antesignana, ma anche una fonte della Madama Butterfly pucciniana.

11 Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, (Copyright Schwarz editore, 1959), Feltrinelli, Milano 19754 (19661), pp.48-52.

12 G. De Angelis, Gauguin, 1961, in: L’opera completa di Gauguin, coordinata da G. M. Sugana, Rizzoli, Milano 1972, p.13. «Fuga e stato selvaggio: ecco la lunga speranza di Gauguin […]; ed ecco anche un mito non nuovo nella cultura francese, fin dall’illuminismo, quando pareva che “l’uomo di natura” fosse la risposta rivoluzionaria e rigeneratrice alla coercizione della società feudale, all’ipocrisia, al pregiudizio: insomma a tutto ciò che impediva all’uomo di essere felice, libero, autentico. Ma ora, nella visione pessimista che si impone verso la società “governata dall’oro”, ormai giudicata irrecuperabile e, nonostante i moti anarchici e socialisti, di una stabilità a tutta prova, ora anche questo mito serve solo in quanto evasione per trovare fuori di essa un’ipotesi d’ingenuità e d’innocenza. Se per tanti intellettuali disarticolati dal corpo sociale, poeti e artisti da Gautier a Mallarmé, tutto ciò si riduce a pretesto letterario e sentimentale, richiamo esotico in più o meno consapevole sintonia con lo spirito coloniale e l’orientalismo che anima ufficialmente la società francese del tempo (e non soltanto all’ombra di un De Goncourt, di un Ségalen, di un Loti), per altri come appunto Rimbaud, come Gauguin, è invece un disperato e tragico tentativo di salvataggio. […] La Bretagna è, e lo era maggiormente in quegli anni, una terra arcaica di menhir e di dolmen, aspra, la sua parte selvaggia, di fronte a un mare violento: un paese agli antipodi delle mistificazioni e leziosaggini parigine». Massimo Carrà, Gauguin e il gruppo di Pont-Aven, in: L’Arte Moderna, vol.1, Fabbri editori, Milano 1975 (19671), pp.166-7.

13 Dalla lettera seguente si direbbe che, Puccini sia stato a conoscenza della parabola esistenziale del post-impressionista: «Il mondo è così cambiato e volgare! Mi è antipatico vivervi. Vorrei trovare un angolo del mondo dove ci fosse un po’ d’idealismo, di sincerità, di normalità, d’ordine, di rispetto, di semplicità soprattutto. Ma dove? Forse in Polinesia. Son troppo vecchio!». 9 luglio 1922, in: Giacomo Puccini, Lettere a Riccardo Schnabl, a cura di Simonetta Puccini, Emme Edizioni, Milano 1981, n.102, pp.181-2.

14 Di lì a poco anche Gabriele D’Annunzio scopriva l’incanto paesaggistico incorniciato dal Tirreno e dalle Alpi Apuane. In Undulna, celebre poesia di Alcyone (1903-4), D’Annunzio sintetizza il suo sentimento di stupore per questo silente, malinconico, mitico ‘angolo di mondo’: «In ogni sostanza si tace | la luce e il silenzio risplende. | La Pania di marmi ferace | alza in gloria le arci stupende. | Tra il Serchio e la Magra, su l’ozio | del mare deserto di vele, | sospeso è l’incanto. Equinozio | d’autunno, già sento il tuo miele».

15 Alla sorella Ramelde, luglio 1898, in: Puccini com’era, a cura di Arnaldo Marchetti, Curci, Milano 1973, n.226, pp.236-7.

16 Itinerari pucciniani, a cura di Gabriella Biagi Ravenni, APT Lucca/Centro Studi Giacomo Puccini, p.23.

17 Dante Del Fiorentino, Immortal bohèmien. An Intimate Memoir of Giacomo Puccini, Prentice-Hall, New York 1952, pp.98-9. Figlio di Chiara Puccini, sorella di Michele (padre di Giacomo), e di Evaristo Biagini, don Roderigo (1846-1914) «abitò a Mutigliano, nella canonica, esercitando le funzioni di cappellano ed incontrando la benevolenza degli abitanti per le sue non comuni doti umane e di sacerdote. Fu uomo di grande cultura». Aldo Berti, Puccini a Mutigliano, Maria Pacini Fazzi, Lucca 1993, p.53-5:53. Dante Del Fiorentino (1889-1969) «venne a Mutigliano nel 1912 circa, appena ordinato sacerdote, con l’incarico di cappellano. […] Le ricerche di don Dante per rintracciare lo spartito [della Messa a 4 con orchestra del 1880, impropriamente conosciuta come Messa di Gloria] furono tenaci e finalmente nel 1951 furono coronate da successo». Berti, pp.55-7. Vedi anche: Aldo Berti, Il guitto organista di Mutigliano. La presenza di Giacomo Puccini a Mutigliano, Comune di Lucca, Circoscrizione n.6, Lucca 1989.

18 Ad Alfredo Caselli, 9 ottobre 1898, in: «Quaderni pucciniani 1998», Lettere di Giacomo Puccini ad Alfredo Caselli: 1891-1899, a cura dell’Istituto di studi pucciniani, Milano 1998, n.214, p.313. Quaranta giorni dopo Puccini scrive: «Lunedì sarò a Lucca per il contratto Chiatri». 29 novembre 1898, in. Ivi, n.216, pp.316-7.

19 Archivio Notarile Distrettuale di Lucca, atto del notaio Francesco Leonardi, 5 dicembre 1898, repertorio n.6920. La decifrazione dell’atto mi è stata facilitata da Anna Maria Marando ed Eraldo Bianchi: al secolo, mamma e babbo.

20 L’Agenzia del Territorio (ex Nuovo Catasto Terreni) di Lucca identifica questo appezzamento nel foglio 82, particella 17, mentre l’ex Nuovo Catasto Fabbricati nel foglio 82, particella 18. Nell’Archivio di Stato (Vecchio Catasto presso l’Archivio di Stato) la pianta «sulla proporzione di 1 a 2000 [levata] dal geometra Santi Pinochi nell’anno 1838. Verificata sul suolo dal Geometra Giacomo Merli dal dì 2 Novembre 1860 al dì 31 Gennaio 1861 e copiata dall’Infrascritto nel mese di Febbraio 1862» prevede, nella «Sezione L detta di Chiatri» le particelle 524, 525 e 526 che costituiranno la proprietà pucciniana. Oltre da quanto evidente nell’atto del notaio Leonardi, anche da questa pianta si evince che la villa di Puccini non fu costruita ex novo ma intervenendo su un fabbricato già esistente. Le ricerche d’archivio sono state enormemente agevolate dalla disponibilità e dalla metodicissima professionalità dell’amico geometra Bernardino De Maria.

21 «Don Eugenio Menichetti [di Angelo] nacque a Nozzano (Lucca) il 4 maggio 1856 e morì a Mutigliano il 3 febbraio 1928. Fu parroco di Mutigliano per 45 anni, e precisamente dal 7 maggio 1928. E’ sepolto nel cimitero di Mutigliano in una elegante tomba murata sul viadotto davanti la cappellina». Berti, Puccini a Mutigliano, p.25.

22 Guido Marotti – Ferruccio Pagni, Giacomo Puccini intimo, Vallecchi, Firenze 1926, pp.90-2. La fotografia del Caselli è visibile in: Puccini nelle immagini, a cura di Leopoldo Marchetti, Maestri Arti Grafiche, Museo di Torre del Lago 1968, n.90.

23 Vedi lettere dal 23 marzo 1898 al luglio 1898, in: «Quaderni pucciniani 1998», Lettere di Giacomo Puccini ad Alfredo Caselli: 1891-1899, nn.182-98, pp.259-84. «[…] Pare che Aquilata venga. Ma dicoti che non è solo la punta […] che desiro, è l’intero podere del monte. Un contadino, capisci? Io possessore, dominatore di una famiglia di armigeri?! […] Ma caro Caseario, cosa diventa Parigi in confronto ad Aquilata». 14 maggio 1898, n.193, pp.275-7. «N’ho pieno i coglioni di questo Parigi […]. Un vero paese inimitabile è Aquilata. Caro mio, là sì che il vivere ne ha ben donde». 23 maggio 1898, n.195, pp.280-1.

24 Alla morte di Giacomo la proprietà chiatrese passò alla moglie Elvira, ed alla morte di questa, al di loro figlio Antonio. Il 29 luglio 1943 questi cedeva la proprietà ad un medico fiorentino. Come da articolo 45 del Regolamento Urbanistico del Comune di Lucca, è annoverata nelle ‘ville storiche’: «Sono gli edifici antichi [antecedenti al 1939] per la residenza delle famiglie più importanti, variabili per dimensioni e importanza architettonica, caratterizzati da un impianto distributivo unifamiliare di rilevante dimensione e da una veste architettonica riconoscibile, talvolta composta di più parti successive nel tempo, sorti lungo gli archi pedecollinari che affacciano sulla Piana lucchese. Sono spesso organizzati in relazione ad un giardino e talvolta presentano un appoderamento agricolo di pertinenza, attestato dalla presenza di numerosi annessi e dipendenze di carattere produttivo, comprese case coloniche, stalle, fienili, rimesse, serre, ecc. nonché aree destinate ad uso agricolo».

25 A Giuseppe Puccinelli, 22 dicembre 1898, in: Aldo Valleroni, Puccini minimo, Priuli & Verlucca, Ivrea 1983, p.184. Valleroni intitola il capitolo 6 Il ‘male del calcinaccio’ e le due ville del Maestro. «Puccini investe energie e denari per la realizzazione d questa residenza, impresa resa ancora più impegnativa per l’assenza di una strada carrozzabile, per cui tutti i materiali da costruzione dovevano essere scaricati a Farneta e portati con animali da traino per circa 4 km di sentiero». Itinerari pucciniani, cit.

26 12 febbraio 1899, in: Valleroni, pp.186-8. Giuseppe Puccinelli era soprannominato ‘Leone’ per la folta capigliatura.

27 3 aprile 1899, in: Valleroni, pp.188-9.

28 6 aprile 1899, in: Valleroni, p.190. Se l’ingegnere incaricato da Puccini era il Puccinelli, il capomastro era un certo Filippi di Bozzano (vedi nota in: «Quaderni pucciniani 1998», n.225, p.330). In un’altra lettera si legge: «Caro Puccinelli vado a Londra per 10 o 12 giorni. La prego di passare da Torre e dare un’occhiata al lavoro – e mi raccomando Chiatri. Filippi pare si barrichi dietro scuse dicendo non ho il materiale scale mattoni per gli archi et travi. 16 maggio 1899, in: Valleroni, p.190.

29 Vedi: Michele Bianchi, La poetica di Giacomo Puccini. Sull’arte e nell’arte di un drammaturgo, ETS, Pisa 2001, Capitolo 1.4.

30 9 maggio 1900, in: Valleroni, pp.193-4. Leggi anche: «Mi pensi a Chiatri e mi salvi dai mascalzoni di colà […]». 9 settembre 1900, in: Valleroni, p.195.

31 10 marzo 1901, in: Valleroni pp.198-200. In chiusura di lettera sembra risuonare la beffa perpetrata da Gianni Schicchi al parentado di Buoso Donati.

32 La villa di Chiatri partecipa dunque, anche se molto marginalmente, all’‘eclettismo architettonico’ che caratterizza l’Europa dalla seconda metà dell’Ottocento. «Tutto questo fervore edilizio non sfociò purtroppo nella creazione di un nuovo stile architettonico, ma piuttosto nella disgregazione inesorabile di tutti i vecchi stili. […] Gli stili non sono adoperati puri, ma variamente contaminati». Anna Maria Brizio, Eclettismo architettonico in Europa durante un cinquantennio e suoi prolungamenti, in: Ottocento Novecento, UTET, Torino 1962, p.399.

33 A Elvira, senza giorno e mese, 1900, in: George R. Marek, Puccini, Cassell, London 1952, p.98.

34 Arnaldo Fraccaroli, Giacomo Puccini si confida e racconta, Ricordi, Milano 1957, p.114-5.

35 A Sybil Seligman, 1 luglio 1906, in: Vincent Seligman, Puccini among friends, Macmillan, London 1938, p.82. Medesimo concetto sarà espresso all’amica Maria Bianca Ginori Lisci: «Carissima signorina, eccoci quassù [a Chiatri]. Si sta bene ma… lunedì ce ne torneremo al basso. […] La solitudine dà conforto ai lassi sipriti, ma il troppo stroppia. E lunedì, benché Viareggio non mi sorrida, ci ritorno». Gino Arrighi, La corrispondenza di Giacomo Puccini con Maria Bianca Ginori Lisci, 3 agosto 1918, n.13, in: Critica pucciniana, Provincia di Lucca, Lucca 1976. , pp.190-225:200.

36 Alla sorella Tomaide, 11 novembre 1906, in: Marchetti, n.330, pp.318-9.

37 Alla sorella Ramelde, 14 gennaio 1907, in: Marchetti, n.333, p.326.

38 14 novembre 1906, in: Giacomo Puccini, Epistolario, a cura di Giuseppe Adami, Mondadori, Milano 1928, n.94, pp.163-4.

39 Ad Alfredo Caselli, Londra, luglio 1900, in: GARA, n.233, p.201.

40 Oggi Chiatri è raggiungibile anche dalla deviazione in vetta al Monte Quiesa, grazie alla strada comunale inaugurata nel 1956.

41 «Io aspetto il piano, ma di qui parto domani e non lo godrò né vedrò fino a… marzo, forse. Scendo a Torre del Lago, poi andrò a Paris, indi in America». A Carlo Clausetti, 13 settembre 1906, in: Gara n.487, pp.328-9. Da Boscolungo scrive invece: « Mi potresti fare un favore? Sono stato a Chiatri qualche giorno. Ho trovato il piano molto scordato. Sfido, son più di 10 anni che non ha avuto un accordatore! Tu puoi trovare a Lucca un buon e volenteroso accordatore? E mandarlo lassù? Guarda di trovarlo. La chiave del piano semmai è legata ad un chiodo (pirolo) dentro al piano. Mi faresti veramente un gran piacere di mandarlo. Per la spesa (qualunque si sia) scrivimi che manderò subito i denari». A Guido Vandini, 5 agosto 1918, in: Giuseppe Pintorno, Puccini: 276 lettere inedite, Nuove Edizioni, Milano 1974, n.215, p.182.

42 «Carissima signorina, una preghiera: vuol esser così gentile di dire a qualcuno che consegni a Tiberio 3 damigiane di vino e del formaggio che ha in consegna il giardiniere? Son prodotti scesi da Chiatri… Il tutto portare a casa mia a Torre». Gino Arrighi, La corrispondenza di Giacomo Puccini con Maria Bianca Ginori Lisci, 13 giugno 1918, in: Critica pucciniana, Provincia di Lucca, Lucca 1976, n.12, pp.190-225:200.

43 Alla sorella Tomaide, 11 novembre 1906, in: Marchetti, n.330, pp.318-9.

44 Arnaldo Fraccaroli, Giacomo Puccini si confida e racconta, Ricordi, Milano 1957, p.113.

45 A Massimo Del Carlo, 3 ottobre 1912, in: Fraccaroli, p.113. Non solo da Lucca, ma anche da Massarosa e Viareggio Chiatri era raggiungibile solo a dorso di un mulo: «A Chiatri si stava bene ma… però ci ritornerò sicuro in ottobre. Allora mi sarà gradita una sua visita: le manderò il ciuco a Bozzano». Gino Arrighi, La corrispondenza di Giacomo Puccini con Maria Bianca Ginori Lisci, 8 agosto 1918, n.14, in: Critica pucciniana, Provincia di Lucca, Lucca 1976, pp.190-225:201.

46 16 novembre 1920, in: Paladini, n.34, p.148.

47 29 gennaio 1921, in: Paladini, n.40, pp.153-4.