DELLA DIREZIONE D’ORCHESTRA E SUOI DERIVATI – parte 2

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DELLA DIREZIONE D’ORCHESTRA E SUOI DERIVATI – parte 2

DELLA DIREZIONE D’ORCHESTRA E SUOI DERIVATI – parte 2

“Un giorno”, narra Rainer Kuechl, Primo Violino di Spalla dei Wiener Philharmoniker, “dopo una prova alla Carnagie Hall a New York, nel 1989 – nel corso dell’ultima storica tournée negli USA prima della Morte, avvenuta il 16 Luglio seguente – Karajan mi fece chiamare d’urgenza nella sua stanza. Ero preoccupatissimo anche se la prova dell’Ottava di Bruckner che avremmo poi eseguito la sera stessa era stata davvero bella. Ma ero preoccupato. Il Gran Karajan mi chiamava a colloquio privato. Entrai e il Maestro mi chiese se stessi bene e se i miei familiari stessero bene. Perchè? risposi io preoccupato ancor di più, c’è forse qualcosa che non so della mia famiglia in Europa e Lui metti caso ha più informazioni di me? Niente di tutto questo, disse il Grand Uomo tranquillizzandomi: durante la prova ho visto il suo viso, le sue espressioni, il suo dolore: Lei ha qualcosa che non va e io lo percepisco. E qualcosa c’era: non di mortale ma di altamente doloroso. Ovvero mi stavano spuntando i denti del giudizio e stavo da cani. Ma Lui, il Capo, se n’era accorto ed era preoccupato, nonostante il fatto che le cose fossero andate bene in prova…Il concerto della sera fu un trionfo con 45 minuti di applausi e grazie agli antidolorifici fattimi avere da Karajan stesso, suonai alla perfezione e stavo benissimo”.

Questo è l’aneddoto splendido che uso sempre riportare quando voglio significare il rapporto che ci deve essere tra orchestra e direttore.

Due entità che, si badi bene, sulla carta sono NEMICHE ACERRIME, assolute e senza quartiere. Almeno in Italia, dove le orchestre sono note per essere come il popolo italiano è. Ovvero totalmente menefreghiste di ordine, disciplina e gerarchia.

In Germania, Austria e in ogni altro paese del Mondo, niente da fare. Tutti agli ordini e il Maestro è il Maestro. In Italia niente da fare. Sono noti, perfino dalle nostre parti, casi di direttori – un po’ improvvisati – “protestati” (ovvero invitati dalla propria orchestra a lasciare il podio per manifesta inferiorità, almeno a dire dell’orchestra…) nonostante fossero i finanziatori dell’orchestra stessa. Non si guarda in faccia a nessuno, molto spesso andando anche oltre le proprie specifiche competenze ma tant’è.

Anche perchè in Italia, dove ogni autorità, dal Duce in giù (dico il Duce per significare il potere più duro e alto e potente che abbiamo avuto, potrei dire anche il Papa, nessun altro), è messa in discussione, ogni strumentista è direttore d’orchestra e vorrebbe quel pezzo eseguito come crede. E chi è invece ‘sto stronzo che monta sul podio e ci dice cosa fare, manco sapendo come maneggiare il nostro strumento? E questa visione prende spesso forma e crea mostri: l’Orchestra della Rai arriva a protestare Celibidache per i suoi tempi nella Nona di Beethoven, Oren venne spesso cacciato da orchestre italiane, anche perchè usava (come usa) termini ed espressioni e modi assai poco urbani, se mi è consentito di dire, pur essendo egli un direttore di idee e tecnica molto elevate.

Ma se un direttore e un’orchestra si conoscono, si stimano umanamente ed anche professionalmente, può accadere la magia ed allora tutto quello che si fa – spesso se non sempre contraddistinto dal sorriso e dalla gioia di creare e fare musica insieme – diventa unico, spesso irripetibile.

Mi vanto di conoscere i miei musicisti, di andarci a bere insieme, di andarci a cena insieme e di sapere a prima vista se hanno problemi. Una battuta e un motto di spirito allentano la tensione e  danno più vantaggio di una prova precisa, piena di stop e di limature spesso inutili, talvolta anche con toni accesi o comunque troppo seri. Non è una ciarlatanizzazione del nostro lavoro: è solo un sistema intelligente e più effettivo di ottenere quello che si vuole. Se io ho le idee chiare ed ho il modo urbano di farle capire ai professionisti che ho davanti – che spesso ne sanno 100 volte più di me ma loro sono là ed io son qui sul podio, indi si fa come dico io a meno che non chieda loro cose idiote o impossibili tecnicamente – il risultato non manca. Poi tocca a me infondere la cosa più importante: la motivazione. La voglia di rendere OLTRE quello che a cose normali quei bravi musicisti già fanno. Far suonare loro quelle note come se fossero le ultime note che eseguono, con la stessa passione, lo stesso entusiasmo e lo stesso vigore OGNI VOLTA.

Dopo la 50ma volta che eseguii assieme alla mia Filarmonica di Lucca il valzer “An der Schoenen Blauen Donau” (sul bel Danubio, blu è più o meno, specie ora…), mi voltai verso il mio primo violoncello, una donna brava e di grande talento, talora precisissima e quindi non particolarmente soggetta a rischi ma con me ha vinto molto la sua naturale (ed immotivata parimenti) timidezza, suonando soli belli, difficili e suonandoli bene davvero, e dissi la frase capitale. “Laura, senti? Nonostante le decine di volte, sempre lo stesso entusiasmo e sempre la stessa passione in queste note”. Ella annuì: qui sta il bello e sta l’arte. Quella cosa che ahimè non ti insegna nessuno: o c’è o non c’è. Ed è una regola, ecco il motivo per cui nonostante le migliaia di corsi per direttori d’orchestra, i veri talenti, quelli inossidabili ed emozionanti latitano sempre più. Eppure, bastasse la scuola, ce ne dovrebbero essere quintali.

Ma per chi monta sul podio, è parimenti importante l’aspetto umano ma anche interpersonale. Se sei una persona tranquilla, che ami quello che fai, che fai davvero quello che volevi sin da piccolo, che lo fai per amore per la Musica e si vede, che lo fai non per il tuo ego ma per l’intrinseco piacere che ti dа sia l’emozionarti che l’emozionarti con l’orchestra e emozionare il pubblico, tutto non solo viene bene, ma il pubblico, tu e l’orchestra lo sentite bene. Ma solo se tu, che sei il famoso “manico” sei sereno e sei là, al 100%, SOLO CON L’IDEA CHE TU SEI LI’ PERCHE’ VUOI E AMI ESSERCI. Non perchè qualcuno ti ha insegnato (a parte il lato tecnico) ad esserci ma perchè tu, da principio, volevi esserci. Si chiama Volontà di Potenza, la espresse mirabilmente Nietzsche.

L’ego può prendere il sopravvento e questo può creare attrito, talora. Ma se tu sei sereno, la serenità – pur nell’emozione, nel dramma, nella tragedia o nella comicità che certe Musiche evocheranno in te, nell’orchestra e nel pubblico – ebbene la serenità verrà fuori ed il risultato sarà sempre superlativo. Non scontato, non banale, non ordinario, non fotocopiato (come ormai succede spesso se non sempre: tutte le orchestre suonano uguali, tutti i direttori dirigono uguali, quasi avessero timore- come so che accade a qualche grande – di tirare fuori le emozioni).

Se sei sereno, con te stesso e con la vita, esprimi emozioni. Poi potrai farlo in modo anche scomposto, può accadere. Ma tutto si accende di una luce strepitosa. Che ti fa stare bene dopo un concerto, che ti rende felice, che ti fa felice di fermarti al bar con gli amici ed amiche dell’Orchestra e bere insieme, ridendo e scherzando. Poi tutto, secondo qualcuno, potrà venire “sempre meglio” ma tu e lui o lei sapete che in realtà, se la serenità e il sentimento, la passione e la forza della Musica sono venute fuori, quella serata è stata unica, forse irripetibile.

Si, un errorino quà e là, accadono anche e spesso nelle grandi orchestre con i grandi nomi, errori di direttore e errori di orchestrale (non fidatevi di dischi e programmi televisivi: sono spesso frutti di montaggi abilissimi sia audio che video, sia dal vivo che in studio).

Ma non sono quelle, le assenze di errori,  le cose che rendono grande una interpretazione musicale (o se non grande, personale e degna di merito e/o di memoria).

Avete mai sentito una orchestra famosa coreana o giapponese? Suonano con una perfezione tecnica spaventosa: peccato, sono freddi e inespressivi come pochi. Idem per i solisti, precisi al millimetro ma ghiacci assatanati. Ascolti un pianista con gli occhi a mandorla? Apprezzi le ottave precise e lindissime in Chopin, poi però prendi i dischi di Alfred Cortot con i loro errori (ne faceva delle camionate, anche in registrazione, e non voleva correggerli)  e te li godi perchè senti materialmente rivivere il Genio Polacco…

Lo spirito di fondo dell’esecuzione è quello che resta, l’emozione che trasmettiamo tutti insieme tra di noi ed al pubblico. La magia di sentire un suono bello, eseguito al “tempo giusto” (Toscanini diceva a questo proposito “Qual è il tempo giusto di un pezzo? Semplice, quello giusto” e troncava le gambe a tutti…), a quel tempo in cui vedi gli archetti degli strumenti a corda “ballare” bene, quando senti i fiati che respirano giusti e entrano perfetti, quando senti i corni , i contrabbassi e i timpani (le basi armoniche dell’orchestra, quelle che stresso più di ogni altre) amalgamarsi alla perfezione. Quando senti le entrate nel modo giusto, quando ascolti un suono setoso, che diviene lucido ed opaco a seconda della circostanza.

Quella l’emozione. Quella è la situazione in cui, qualsiasi pezzo diriga, mi viene da ridere e sorridere perchè vedere realizzata quella idea di suono, che è mia come direttore e che le mie amiche e amici mi danno la possibilità di veder realizzata, mi riempie di gioia. E mi fa tornare bambino, quando ascoltavo i dischi di Toscanini, Bruno Walter e Karajan sulle ginocchia di mio nonno, gran patito di ascolto, specie di Opera, specie della Callas.

Perchè la Musica è e rimarrà sempre esperienza mnemonica, un cammino della Memoria. E se hai ricordi belli, e la Musica che dirigi e esegui te li riporta alla mente, lo stato di serenità quadruplica e il risultato è ancora meravigliosamente più bello.

Ma questa è un’altra storia e, comme d’habitude, la racconteremo un’altra volta.