Il Requiem di Giacomo Puccini

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Il Requiem di Giacomo Puccini

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In occasione del quarto anniversario della morte di Giuseppe Verdi (27 gennaio 1901), Giacomo Puccini scrisse un Requiem in sua memoria per coro a tre voci (soprani, tenori e bassi), viola e organo (o armonium).

Giorgio Magri, il musicologo che lo ha rintracciato nel 1972 dopo decenni di oblio, afferma che

fu scritto, quasi certamente in una giornata [14.1.1905], di getto, senza ripensamenti, come sembrerebbe dimostrare il manoscritto che contiene poche cancellature, modifiche, rifacimenti. Ma fu ‘pensato’ con una certa calma, non fosse altro per la scelta del testo, della forma musicale, e soprattutto degli strumenti per i quali fu concepito. […] La concezione dell’organico della composizione, vale a dire: degli elementi vocali e strumentali per i quali essa sarebbe stata scritta, fu originalissima e moderna […]. Il manoscritto autografo [conservato al Museo Teatrale della Scala] è composto di 6 pagine, ed è vergato con la solita rapida calligrafia pucciniana che qui è un po’ più leggibile del solito. […] Il brano non è lungo: consta di 57 battute, e dura 6 minuti e mezzo. E’ concepito nella comune forma A-B-A, con una parte introduttiva affidata all’organo, ed una conclusione bellissima, altamente poetica.

La cronaca della cerimonia si trova nella rivista Musica e Musicisti del 15 febbraio 1905, dove l’ignoto recensore (probabilmente Giulio Ricordi) scrive:

Alle 10 [del 27 gennaio 1905] conviene nella Casa di Riposo per i Musicisti [voluta dallo stesso Verdi] un eletto e reverente gruppo d’invitati: sono presenti il Presidente della Casa di Riposo, avv. Seletti, il segretario avvocato Campanari, e del Consiglio di Amministrazione, il comm. Ricordi, il nob. Emanuele Greppi, l’ingegnere Piola, il dott. Bertarelli; intervengono Arrigo Boito, il maestro Puccini colla signora, Luca Beltrami, il comm. Spatz, il cav Ajroldi, Origoni, la signora Giuseppina Morisini Prato, il maestro Galligani e la sua signora. Nella Cappella, sovrastante la tomba del Grande, Don Carlo Mantovani, coadiuvatore di San Pietro in Sala, celebra la Messa, mentre il prof. Bognetti rievoca dall’harmonium le più toccanti melodie verdiane. Alla fine della Messa 30 coristi, scelti dalle masse della Scala, eseguiscono un nuovissimo, espressamente scritto Requiem di Puccini: le voci attaccano sulla scala di Re minore, armonizzata con tocco parco quanto squisito, mentre il basso discende con moto contrario; una viola solista modula in La minore con una frase soavissima affannata quindi all’unissono riattaccano le voci volgendo alla cadenza plagale rimanendo indefinitivamente, eternamente sospese alla quarta del tono, mentre l’harmonium sommesso procede estenuandosi nella tonica dell’accordo iniziale. La genialissima sorprendente risoluzione è accolta dagli astanti con muta ammirazione, muta ammirazione che vale pel maestro Puccini ben più d’ogni più scrosciante ovazione teatrale. Con intensità espressiva eseguisce l’assolo della viola il prof. Pirignoli della Scala: il coro è squisitamente istruito e diretto da quella spiccata personalità che è il maestro Aristide Venturi.

Non vi è dubbio che, da studente maturo, Puccini ‘tifasse’ Wagner e non Verdi. Già a partire dagli anni ’60 Wagner diventa sinonimo di rinnovamento per la tradizione operistica italiana, e strumento per un attacco frontale al nume tutelare di quella tradizione: appunto Giuseppe Verdi.

In un quaderno di appunti del corso di Letteratura Poetica e Grammatica seguito quando era studente al Conservatorio di Milano (1880-83) si legge: «Giacomo Puccini. Questo grande musicista nacque a Lucca l’anno … e puossi ben dire il vero successore del celebre Boccherini. Di bella persona e di intelletto vastissimo portò nel campo dell’arte italiana il soffio di una potenza quasi eco dell’oltralpica wagneriana».

Ancora in un’intervista del 1911 Puccini conferma la venerazione per Wagner affermando: «Nulla è morto di Richard Wagner: l’opera sua è il lievito di tutta la musica contemporanea e qualche cosa è in quella che germinerà ancora, più tardi, in più felici primavere dell’arte».

Non rimangono esternazioni di Giacomo che permettano di chiarire la sua filiazione, non solo meramente cronologica, dall’illustre predecessore italiano. Ma è vero che Puccini stesso ammetterà che quell’Aida vista a Pisa nel 1876 lo sedusse al punto di fargli intravedere una carriera di operista, e non di organista nella sua Lucca. E l’ultimo Verdi (Falstaff in particolare) lo influenzò decisamente in direzione di quell’eloquio musicale spigliato e frizzante che si affermerà decisamente con Bohéme.

Ma, con il perseguimento di un canto ‘generale’ vocale come strumentale esemplato sull’aria e non sul recitativo/declamato, Puccini prenderà una strada diversa ed opposta sia da quella dell’ultimo Verdi sia da quella wagneriana, connotandosi esponente di retroguardia in un periodo che punta ad approfondire il declamato melodico dei due giganti, e che culmina nell’esasperato Sprechgesang shoemberghiano.

Ciò detto, come Puccini ha voluto rendere omaggio alla memoria di Giuseppe Verdi?

Si direbbe, in un tempo estremamente contratto per esigenze liturgiche, parafrasando l’inizio del Requiem (1874) composto dal maestro bussetano per il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni.

Entrambi prevedono l’inizio in pianissimo, e, se Verdi (sotto voce) si presenta immediatamente con un accordo di la minore discendente, Puccini, pur in re minore (tonalità comunque imparentatissima con il la minore), vi ruota intorno con la sua caratteristica prestidigitazione. E se Verdi adotta una scala discendente frigia, Puccini gli risponde con una dorica.4)giacomo puccini 2

Anche l’inizio accordale di Verdi, che dopo 23 battute accenna una blanda imitazione, può aver suggerito la composizione pucciniana: accordale sino alla trentesima battuta, quando un’imitazione atipica ma efficacissima viene interrotta dopo solo due battute.

Puccini si direbbe dunque intenzionato ad enucleare l’inizio del mastodontico e meraviglioso lavoro del collega, rivivendolo non certo alla lettera, ma nello spirito più rispettoso.

Non avrebbe comunque mai immaginato che il suo Requiem così schivo sarebbe stato ripreso nel trigesimo della sua morte (dunque il 29 dicembre 1924) dal coro degli studenti del Conservatorio di Milano diretto dal m° Romeo Bartoli.