A colloquio con…Francesca Breschi

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A colloquio con…Francesca Breschi

Parlaci di questa idea di unire il Laudario di Cortona con arie contemporanee

Ogni concerto ha, nella mia mente, un percorso che si sviluppa. E’ un racconto nel quale la voce è un vero veicolo attraverso il quale cerco di trasportare emozioni, pensieri, idee. In questo caso mi piaceva prendere del materiale profondamente radicato nel nostro territorio, qualcosa di molto evocativo, molto lontano nel tempo eppure così vicino alla nostra “memoria profonda” e lanciarlo come stimolo, sfida, invito, dialogo più o meno serrato, ma anche come provocazione a questo gruppo di compositori, lasciando loro totale libertà di movimento e creazione. La traccia interna era molto semplice: parafrasando la vita di Cristo, c’era in realtà da parlare della vita stessa, attraverso un segno, una stella premonitrice di un nuovo inizio, oppure con la descrizione della maternità, l’amore, il dolore, la percezione del nostro essere mortali e poi di nuovo l’annuncio di una nuova vita e così via, senza soluzione di continuità. Ero davvero curiosa di vedere cosa ciascuno di loro avrebbe elaborato ed è stato veramente entusiasmante immergersi in ognuno di quei mondi così diversi l’uno dall’altro e così vivi

Un’impresa cambiare ogni cinque minuti stile e maniera di interpretare!

Spesso chi ha scritto del mio lavoro ha avuto problemi nell’identificarmi in un genere, a volte arrivando a chiedermi di “congelarmi” in una definizione, cosa che mi sono sempre rifiutata di fare. Mi piace sempre e da sempre lavorare per ascisse e ordinate, muovermi attraverso spazio e tempo ma ogni volta con un criterio che risponde quasi sempre a un’esigenza di tipo teatrale. Devo anche dire che spesso, parlando con miei coetanei anche molto famosi (penso ad esempio al grande violoncellista Mario Brunello) vengono fuori delle frequentazioni musicali assai variopinte e di tipo “onnivoro”: siamo cresciuti studiando uno strumento classico mentre imperversava il rock progressivo e psichedelico, frequentando concerti di bellissima musica barocca mentre arrivava l’ondata del folk revival, del canto politico e dei cantautori.

Una valanga di sitmoli sensoriali…

È impensabile che ne siamo usciti indenni! Siamo ibridati dalla “nascita” (comunque l’ibridazione penso sia sempre esistita, anche quando i musici girovagano a piedi con i loro rotoli di manoscritti sotto il braccio…). In teatro è difficile che un attore faccia lo stesso personaggio per tutta la vita e in realtà è quello l’imprinting che mi abita, il teatro: cerco di “diventare” ogni volta quella cosa, quel racconto, quel suono che possa esprimere quello che la musica e il testo vogliono dire. Tutto questo ovviamente poggiato sulla tecnica che però non è e non deve mai essere fine a sé stessa ma solo un mezzo per la propria libertà, ed è per questo che continuo a studiarla.

Il numeroso pubblico presente ti ha acclamato, segno che hai coinvolto tutti

Sono cosciente che la voce è uno strumento potente ed evocativo, affascina tutti, è il “pneuma”, il “verbo”, il primo suono, perfetto, quello che apre alla vita, quella che crea nell’ascoltatore un grande varco emotivo. È stato davvero un bel pubblico, l’ho sentito fin dall’inizio, ben disposto, accogliente e in un “ascolto” senza riserve…un pubblico consapevole. Tutte le volte che qualcuno viene a ringraziare dopo lo spettacolo, la cosa spontanea che mi viene sempre da fare è di ringraziare a mia volta dicendo “il concerto, lo spettacolo, si fa in due: noi in scena senza voi che ci ascoltate con udito, cuore ed anima, non serviamo a nulla. Siamo complementari e la profonda comprensione reciproca fra esseri umani è il risultato di un incontro ad un altro livello, ogni volta un piccolo miracolo”.

Dopo la master sulla tecnica vocale e il concerto di maggio hai in mente altre “primizie” con la cluster?

FSarebbe molto bello poter continuare la collaborazione soprattutto adesso che ho conosciuto e condiviso musica con alcuni dei suoi giovani e talentuosi compositori: ognuno di loro mi ha affidato la propria composizione con la trepidazione di un genitore che affida suo figlio a una balia per farlo crescere…beh, sí, devo dire che condividere musica è proprio diventare “famiglia” e quindi poi, se ognuno ha fatto la propria parte con serietà, rigore e passione, il legame resta quindi immagino che uno sviluppo in qualche modo e forma, ci potrebbe essere. Perché no!

Nel frattempo continui la tua collaborazione col quartetto vocale di Giovanna Marini

Mi onoro di farne parte dal 1990 anche se, per forza di cose, abbiamo rallentato molto la nostra attività. In questo momento sono più frequentemente in duo con Giovanna Marini con un concerto che attraversa la sua vita: una vita di vera compositrice, aspetto qui in Italia sempre un po’ ignorato, ma invece nervatura portante di tutta la sua sterminata produzione musicale per il nostro Quartetto ma anche per diversissimi tipi di organico.

Posso asserire che hai una voce talmente versatile ed espressiva che ben si adatta sia all’antico che al contemporaneo?

Ringrazio molto per questa domanda perché finalmente non si cerca di incasellarmi ma si capisce che il mio specifico è il…non avere uno specifico, o meglio, mi piace definirmi una “strumentista della voce”. Cerco di piegare il mio strumento a quello che mi piace fare e a ciò che in quel momento e in quello spettacolo ha un senso che io racconti, quello che ha senso per la comunicazione. È anche vero che ci sono cose che non faccio ma questo dipende dai miei gusti che hanno a loro volta tracciato i miei limiti. Non mi è mai interessato, ad esempio, sviluppare nel repertorio lirico, anche se sono cresciuta ascoltandone parecchio, ma direi che il melodramma non è un mio ambito espressivo.

Non a caso stai continuando a collaborare con artisti di fama mondiale e grandi registi teatrali

Nella mia vita ho avuto la fortuna di avere grandi incontri, che magari lì per lì non sembravano tali perché vivere nella quotidianità , gomito a gomito con i grandi, ti fa capire a posteriori che i veri grandi non…sgomitano mai! Sono sempre grata a questi incontri pieni di generosità, rispetto ed operosità: mi ricordo, ad esempio, il bellissimo e intenso periodo di lavoro insieme a Giancarlo Cobelli per un’edizione de L’école des Maîtres nel quale ero formatrice di questo gruppo di attori europei che lui avrebbe diretto in un suo Woizzeck, o tutti gli incontri con Mario Brunello, sia in cima alle Dolomiti (albe indimenticabili) che in teatro insieme a Marco Paolini a narrare Verdi, uno spettacolo per il quale io e Brunello tenevamo lezioni nel pomeriggio per il pubblico sulle arie più note di Verdi che poi la sera, servendomi del mio personaggio, facevo cantare l’intera platea con nostro sommo divertimento e soddisfazione…

E attualmente?

La nuova ultimissima collaborazione con Sidi Larbi Cherkaoui, grandissimo coreografo e regista belga di origine marocchina col quale mi è capitato (e di nuovo succederà nel 2017) di collaborare per il suo splendido “Babel”, uno spettacolo con quindici danzatori/attori/cantanti strepitosi e cinque fantastici musicisti provenienti da ogni parte del globo: uno spettacolo che purtroppo gira in tutto il mondo tranne che in Italia…

Inoltre sei molto sensibile alla musica vocale di tradizione italiana

I repertori per molti versi ancora sconosciuti ai più, sono un bacino enorme di suoni, testi, “modi”. Mi hanno attirata fin da ragazzina, quando con un gruppo di salentini veraci suonavamo per le strade di Firenze (allora si poteva ancora fare in modo estemporaneo, giusto per suonare insieme). Poi il lavoro con Pupi & Fresedde Teatro che in quell’epoca osava mettere in scena rappresentazioni della simbologia profonda che anima il cuore della nostra tradizione, specialmente quella del Sud Italia basandosi soprattutto sugli studi di Ernesto De Martino e su su fino ad arrivare alla moderna scienza dell’etnomusicologia (o altrimenti definita “antropologia musicale”)

Parlacene brevemente

Si tratta di una fusione fra musicologia ed antropologia: una scienza fondamentale che mostra a noi stessi le nostre profonde radici e che spesso, soprattutto dal punto di vista musicale, ci spiazza ponendoci davanti un mondo nel quale il “non temperato” la fa da padrone per cui le cose che prima definivamo “stonatine” adesso invece abbiamo capito essere “modi musicali” precisi, pensati, interiorizzati, suoni scelti, elegantissime microvarianti, testi di sapore e terminologia antica ma basati su una ferrea conoscenza della metrica. Il risultato spesso è che il mondo sonoro della nostra tradizione orale è molto più vicino a quello della musica d’arte contemporanea di quanto pensiamo.

Progetti futuri

Negli ultimi anni, parallelamente all’attività del Quartetto Vocale di Giovanna Marini, ho creato dei progetti di diverso tipo e con diversi organici e alcuni di questi mi piacerebbe poterli riprendere: penso a “Intrecci”, progetto per voce e quintetto d’archi che spazia fra repertori di tradizione e di nuova scrittura ispirati ad essa, oppure a “Di mezzo il mare”, con il gruppo sardo Andhira (la Sardegna è una terra davvero musicalmente speciale) o “Della bella terra di Toscana”, un viaggio profondo nella mia terra, quella meno “folkloristica” ma più vera che ha radici, appunto, nei suoi laudari. Vorrei riprendere uno strano progetto, “Anghelos”, che viaggia su un doppio binario: un’ esplorazione sulla fonazione e una domanda sulla comprensione della Storia, un progetto che scaturisce da due brevi poesie di Heiner Müller e una riflessione di Walter Benjamin e che utilizza il live electronics insieme a sovraincisioni di Gesualdo da Venosa e composizioni originali.

Niente progetti che coinvolgano la danza?

Certamente! Con una compagnia di danza contemporanea fiorentina, che usa i diversi linguaggi della danza, del teatro e della musica e che collabora con un centro teatrale armeno, abbiamo cominciato a pensare a un soggetto dedicato a quell’area geografica specifica. Concludo, per ritornare ai progetti futuri, che sto chiudendo un lavoro discografico sul repertorio mariano nel quale ho inserito antifone cantate in originale dai monaci benedettini di San Miniato al Monte. Poi ci sarà la ripresa di un lavoro prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria che ha debuttato nella stagione scorsa, “Cantico”, terrò diversi seminari sia sulla tecnica vocale che sui repertori di tradizione orale italiana, una ripresa di Babel, sopra citato, e alcuni concerti con Giovanna Marini in duo, oltre al altre collaborazioni sempre con straordinari amici .