Proseguiamo con l’analisi dei personaggi di Madama Butterfly, da parte del musicologo Michele Bianchi, con l’approfondimento su Cio Cio San diviso in tre parti
A differenza della Butterfly di Belasco, mai quella pucciniana è sfiorata da alcun dubbio circa il ritorno di Pinkerton. Il Pinkerton di Belasco è certamente più strafottente di quello operistico, ed il ‘tormentone del pettirosso’ dimostra come, essendo un po’ più cosciente della temporaneità del matrimonio, la Butterfly del commediografo americano si senta maggiormente ‘presa in giro’. Puccini enfatizzerà le problematiche che in Belasco rimangono allo stato latente.
Nella sua Butterfly tutti sono coscienti della assoluta temporaneità del suo matrimonio con Pinkerton, eccetto proprio la protagonista. C’è chi prende sul serio la cosa, chi in burletta, ma tutti sono consapevoli che la prassi marinara, nella fattispecie americana, è questa: il matrimonio dura il tempo di permanenza del militare. Dopo, esiste solo la certezza della separazione, pur in presenza di un figlio. Goro lancia a Pinkerton la battuta: «Quanto alla discendenza | (con malizia ossequente) provvederanno assai | Vostra Grazia e la bella Butterfly», ma non è il solo: «Ufficiale – (Congedandosi da Pinkerton) Posterità. Pinkerton – Mi proverò». Da queste battute risulta tutt’altro che sconcertante che da un pur temporaneo matrimonio potessero nascere dei figli.
Come già visto, prima del ‘matrimonio’, anche le piccole malignità di amici e amiche, cugini e cugine disturbano la situazione solo in apparenza idillica. E, con un’evidente punta di soddisfazione, i cugini concordano sul fatto che «divorzierà», fors’anco prima della partenza di Pinkerton.
Come mai Butterfly non si arrende ad un destino notorio ed estremamente logico? Si ricorda quanto lo stesso Puccini confidò all’amico e giornalista Carlo Paladini prima del debutto di Butterfly:
[…] viene, purtroppo, anco per Pinkerton l’ordine di lasciare Nagasaki. Pierre Loti avrebbe finito qui il raccontino latte e miele, con un mesto rimpianto, un dolce bacio, un tenero addio, una tazzina di tè imperlata di lacrime, e chi s’è visto s’è visto. […] Non sapeva di aver ispirato una passione così tremenda. […] Conclusione: Butterfly, poverina, quando vede che tutto è perduto si ammazza.
Dunque ella si è irrimediabilmente innamorata di Pinkerton, e di «una passione tremenda». In Madama Butterfly accade quello che la prassi dell’epoca non prevedeva, e che in Loti non è infatti lontanamente prefigurato: ossia che la protagonista si innamori. «Io sono la fanciulla | più lieta del Giappone, anzi del mondo. | Amiche, io son venuta | al richiamo d’amor… | d’amor venni alle soglie | ove s’accoglie | il bene di chi vive e di chi muor».
Per amore si fanno anche follie, ma sono follie che una persona psichicamente equilibrata attua generalmente in spazi temporali limitati, e non ‘all’infinito’. L’ostinazione irragionevole ad oltranza per tre lunghissimi anni impone di affermare che il grande amore di Butterfly è intorbidato da meccaniche psicologiche delicate e complesse. «Una passione così tremenda» ha quei caratteri di eccezionalità che albergano in una personalità quantomeno complessa.
Lo si capisce già dall’aria di sortita di Butterfly: «La voce di Butterfly – Amiche, io son venuta | al richiamo d’amor… | d’amor venni alle soglie | ove s’accoglie | il bene di chi vive e di chi muor». Questo riferimento alla morte si direbbe fuori luogo, ma suggerisce che Butterfly sia dunque già ampiamente predisposta al suicidio. In uno straordinario articolo, Cesare Garboli ha colto perfettamente il senso di morte che pervade tutta la Butterfly, addirittura dall’entrata della protagonista nel primo atto:
con gli accordi del coro che salgono imbevuti d’aria di mare squarciando il cielo e rivelando l’orizzonte grazie a una strumentazione ‘angelica’, introduce una nota non di gioia, ma, nella festa, di lutto; la sposa, alta di statura, sottile come una figura di paravento inganna sé stessa raccontandosi subito la bugia: «Io sono la fanciulla più lieta del Giappone… anzi del mondo»; bugiardo istante di ebbrezza leopardiana che la glossa musicale (la ‘vera cultura’ di Puccini) s’incarica di smentire, sublimando l’equivoco nel celeste presagio di morte. […Butterfly è] opera in cui l’onda del commento musicale parte da un punto di vibrazione postuma e insieme di prescienza dolorosa, così che si aprono due teatri, uno drammatico che ‘si vede’ e un altro che affoga i colpi di scena dietro un lago di morte trionfalmente immobile, descrivendo in dettagli uno sull’altro l’agonia del fiore che si disfa angoscioso e voluttuoso. Se, come io credo, è riconoscibile in Butterfly, nel 1904, una cellula esistenziale, essa si sviluppa non senza coerenza culturale, essendo Butterfly non opera di vita, ma un’opera di morte.
Il libretto dell’opera precisa gli anni di Butterfly: «Quindici netti, netti». Loti e Belasco non forniscono l’età della protagonista, mentre nel racconto di Long essa ha diciassette anni. E’ dunque meno immatura della geisha pucciniana, ed infatti eviterà il suicidio. Nella fase adolescenziale, i due anni che dividono la Butterfly del racconto e dell’opera sono molti. E l’adolescenza è, già normalmente, un periodo molto delicato da un punto di vista psichico:
Ansie, tensioni, inibizioni e frustrazioni sono gli ingredienti di questa trasformazione che porta con sé l’abbandono delle figure precedentemente interiorizzate sul piano affettivo e la loro sostituzione con figure nuove più rispondenti alla nuova intenzionalità inaugurata dal dischiuso scenario sessuale. Questo passaggio verso la ricerca di nuovi oggetti d’amore è attraversato da ansie abbandoniche, episodi di regressione, perdita di esperienze fusionali, superati dal bisogno di separazione dai precedenti oggetti d’amore che si rivelano non più idonei alla nuova situazione che si è venuta a creare con la comparsa della sessualità. Nasce da qui il bisogno di isolamento, il rifiuto di un mondo che l’adolescente considera responsabile della perdita dell’identità precedente, con conseguente abbandono della dipendenza dai genitori in vista di una propria relativa indipendenza e autodirezione. Questo passaggio riesce più o meno felicemente in base alle soluzioni che sono state date nei primi anni di vita ai problemi riguardanti la sicurezza e l’insicurezza, la libertà di esplorare l’ambiente, e la concessione al bambino di occasioni per dirigersi da sé e prendere decisioni in misura crescente durante il periodo preadolescenziale.
Viene qui notato che il passaggio fra la fase preadolescenziale e quella successiva è determinato dal grado di stabilità vissuto nell’infanzia. E’ da collocare in questa fase la morte, improvvisa e cruenta, del padre di Butterfly: nell’«astuccio lungo e stretto» ella conserva la spada con la quale il genitore ha fatto harakiri. Solleticato dalla curiosità di Pinkerton, Goro precisa che «è un presente | del Mikado a suo padre… coll’invito… (Fa il gesto di chi s’apre il ventre). Pinkerton – (piano a Goro) E… suo padre? Goro – Ha obbedito».
Long riferisce che il padre di Butterfly partecipò alla rivolta di Satsuma, che si concluse con il suicidio di oltre duemila ribelli. Questo fatto si inserisce nel quadro di quelle opposizioni feudali alla rivoluzione del Meiji. Proprio la penetrazione economica occidentale, iniziatasi nel 1853 quando una spedizione militare americana impose alle autorità giapponesi di aprire alcuni porti al commercio, fece esplodere la crisi latente nella società giapponese. Si attuò così la progressiva riaffermazione del potere imperiale contro lo shogun (‘il generalissimo’), che aveva sottratto il potere effettivo all’imperatore, pure venerato come dio. Belasco suggerisce che il padre, un ufficiale, «kill’ himself accoun’ he soldier of Emporer [sic] an’ defeat in battle. Then we get – O – ver’ poor. Me? I go dance liddle». (prosegue)