Brutta cosa l’invidia

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Brutta cosa l’invidia

Brutta cosa l’invidia che nelle sue forme più gravi arreca quasi sempre danni e difficoltà sia per l’invidioso che per chi ne è vittima. Neppure Dante fa sconti alla categoria, relegando gli invidiosi in purgatorio, seconda cornice, costretti a scalare il monte della redenzione con le palpebre cucite col fil di ferro: “E come a li orbi non approda il sole,/così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,/luce del ciel di sé largir non vole.” Fu costante oggetto di invidia Niccolò Paganini, fenomeno inarrivabile nella sua tecnica violinistica. Ovunque si recasse in Europa, veniva preceduto da offensive campagne di stampa, attacchi di colleghi violinisti e di critici musicali, incolpato di avarizia (ma Paganini dava spesso concerti per beneficenza), di smodata passione per le donne (ma non più di molti suoi simili) e perfino di aver stretto un patto col diavolo per possedere quella tecnica e abilità sbalorditive. Una sera, durante un’esibizione a Parigi, un bravissimo e invidioso violinista francese, sfidò Paganini a suonare un pezzo di estrema difficoltà tecnica. Iniziò il francese, suonò in modo impeccabile e mentre scrosciavano gli applausi, si avvicinò a Paganini e gli disse: “Voila comme on joue à Paris” (ecco come si suona a Parigi). Paganini si avvicinò al leggio, capovolse lo spartito mai visto prima e iniziò a suonare all’incontrario, dalla fine verso l’inizio. Raccontano le cronache che, pur non conoscendo il pezzo, suonò in modo divino e con una tecnica sbalorditiva, con fulminei passaggi di sedicesima e perfetti pizzicati di mano sinistra, mentre con la destra faceva saltellare l’archetto in modo spettacolarmente incisivo sulle corde tirate a un semitono più alto per un suono più brillante. Il pubblico andò in delirio e Paganini si avvicinò al violinista francese e gli disse: “Voila comme on joue en Paradis” (ecco come si suona in Paradiso), girò i tacchi e se ne andò.