A colloquio con… Michela Lombardi

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A colloquio con… Michela Lombardi

Come hai scoperto le tue doti canore?

La musica è sempre stata un momento di gioia che mi portava in una dimensione più bella: i primi anni della mia vita li ho passati al ristorante dei miei, vivevamo al piano superiore, dove dormivano anche i miei cugini che avevano un giradischi in camera, e ricordo che da bambina – avrò avuto tre o quattro anni – i momenti più belli erano quando la mia cugina adolescente (che lavorava anche lì al ristorante) mi faceva ascoltare i dischi e mi portava a fare lunghe girate col suo motorino “Califfo” mentre cantavamo a squarciagola “Miele” del Giardino dei Semplici o “Bella da Morire” degli Homo Sapiens. Ho una foto di me all’asilo dalle suore che, vestita da viola di campo (con un abito di carta crespa), canto in un microfono arrabattato che pareva un annaffiatoio. È una bella metafora, mi dava vita e vigore. Fin da quando cantavo nel coro della parrocchia mi era chiaro che cantare mi dava un’identità.

Inizialmente pensavi di diventare un’esponente del canto lirico?

Non l’ho mai pensato, ho sempre avuto chiaro in mente che avrei voluto cantare con la voce dei cantanti di cui trovavo i vinili nella collezione di mio padre, da Elvis Presley ai Beatles, da Chet Baker a Ella Fitzgerald, e sognavo di emulare gli artisti dei quali ho iniziato, appena adolescente, a comperare o a farmi regalare i 33 giri: dapprima George Michael e Madonna (che nella mia vita sta per tornare alla ribalta: in aprile esce un mio disco con brani di Madonna in jazz!), poi le cantautrici Suzanne Vega, Tracy Chapman, Michelle Shocked… Fino ai cantanti soul e blues.

Poi la passione per il jazz…

Sì, quella è arrivata lentamente: all’ascolto dei due dischi di Ella e Chet trovati in casa non aveva fatto seguito – dato il mio approccio istintivo e acerbo – un ulteriore approfondimento, e all’inizio ero più presa da Tori Amos e Sheryl Crow, ma già con la passione per Noa sentivo che mi avvicinavo al genere. Poi, a vent’anni, ho preso il disco di Tiziana Ghiglioni che cantava Tenco e ho deciso di iscrivermi al suo corso invernale che teneva a cadenza bisettimanale a San Lazzaro di Savena, a Bologna. Era il 1994.

Quante difficoltà hai incontrato prima di essere segnalata nel 2011 tra le migliori dieci Vocaliste jazz italiane secondo il “Jazzit Award”?

Non sono una persona che tende a lamentarsi della scarsa visibilità o delle poche occasioni che si possono avere, e se devo menzionare una difficoltà che ho trovato sono propensa a fare un’autoanalisi e rispondere candidamente: la difficoltà di trovare la propria voce, dopo anni di ascolti ossessivi e di svuotamento dell’ego per lasciarsi attraversare da un linguaggio che bisogna accogliere senza troppi filtri, con fiducia e umiltà, prima di individuare quali elementi sono più affini a noi e al nostro sentire. Ma questo avviene solo in un secondo momento, e ci vuole tempo.

Il tuo rapporto con Lucca Jazz Donna, alla quale partecipi sin dalle prime edizioni

Alla fine del 2004 i fotografi Maurizio Micheletti ed Enrico Stefanelli mi dissero che a Lucca stava per rinascere un Circolo del Jazz, e che i membri del Circolo volevano organizzare un festival al femminile. Così venni a conoscenza della rassegna che stava per essere realizzata e proposi il mio trio con Piero Frassi e Nico Gori, che l’allora direttrice Patrizia Landi, conosciuta proprio durante la lavorazione del festival, accolse con entusiasmo, facendoci esibire al Teatro di San Girolamo.

Un bel ricordo

Esatto!Da allora ho avuto modo di proporre diverse formazioni al festival, dal 5tet con la sassofonista Nicoletta Manzini al sestetto vocale con cinque colleghe lucchesi, fino alla recente serata del 7 ottobre al Teatro Artè, dedicata all’etichetta Philology di Paolo Piangiarelli, per la quale ho appena pubblicato “Solitary Moon – Inside The Music Of Johnny Mandel” con Piero Frassi, Gabriele Evangelista, Andrea Melani ed Emanuele Cisi. Quella sera, oltre a presentare il nuovo disco, Lucca Jazz Donna ha tenuto a battesimo anche la mia nascente collaborazione con Cettina Donato, che ha suonato con il suo trio nel primo set, invitandomi a cantare due brani composti a quattro mani.

Hai anche intrapreso la carriera di docente

Negli ultimi tre anni ho avuto la possibilità di insegnare in due Conservatori, a La Spezia e a Sassari, e per me che seguo da anni le pubblicazioni dei didatti internazionali e amo molto integrare le diverse metodologie è stata un’occasione stimolante ed appassionante. Quest’anno seguirò per la prima volta da relatrice una laureanda, a Sassari, e nella sua tesi si parlerà di Ella Fitzgerald e del suo concerto all’Opera House immortalato nel disco che trovai tra i 33 giri di mio padre: chi avrebbe potuto immaginarselo quando, da ragazzina, passavo interi pomeriggi ad ascoltare quel vinile!

Un consiglio che ami ripetere ai tuoi allievi

Sono i consigli che qualsiasi musicista non si stanca mai di dare: trascrivere e memorizzare molti assoli per acquisire il fraseggio ed entrare nel mondo dei giganti del passato, e non dimenticare mai che quando si canta stiamo raccontando una storia, ragion per cui bisogna sapere bene il significato del brano, conoscerne il testo a memoria e costruire un assolo che proceda come un racconto volto a mantenere la memoria della melodia originale e a miscelarla con le frasi acquisite in passato e le pause di cui ogni racconto ha bisogno. E poi ascoltare tanti dischi, ogni giorno, andare ai concerti e ai seminari – io sono appena tornata dalle masterclass di Dena DeRose e di Giovanni Falzone, ad esempio – e non stancarsi mai di cercare e cogliere occasioni nuove per imparare.

Un progetto al quale tieni particolarmente

Nei prossimi mesi usciranno altri tre dischi che ho già realizzato: un songbook monografico dedicato a Michel Legrand (che abbiamo inciso a Milano sempre con la sezione ritmica di “Solitary Moon”), un tributo a Madonna (registrato a Roma con Riccardo Fassi, Luca Pirozzi, Alessandro Marzi, Steven Bernstein e Don Byron: uscirà con un’etichetta internazionale che ha una sede in Germania e una a New York) e infine un omaggio a Mose Allison (inciso a Torino con Alberto Marsico e Alessandro Minetto). Quello che invece è al momento ancora un progetto, ma che sta prendendo forma e al quale tengo particolarmente da almeno dieci anni, è la collaborazione con il pianista e compositore Giovanni Ceccarelli, ormai parigino d’adozione. È difficile incontrarci, perché vive in Francia e suona spesso in giro per il mondo (è appena tornato da una tournée in India e tra pochi mesi tornerà in Brasile, una terra che conosce bene perché ha già collaborato diverse volte con l’immenso Ivan Lins), però quest’estate abbiamo passato due giorni insieme abbastanza decisivi per scrivere a quattro mani e fissare alcuni obbiettivi. D’altra parte il suo ultimo disco si intitola “Mare Calmo”, e in effetti siamo entrambi molto miti e riflessivi, ma – come dice il vecchio detto – «still waters run deep»!